(di Carlo Ruta) Una soluzione finale per gli anziani? Il nuovo incubo dell’Europa
Non esistono dubbi. In vari ambienti dell’Unione Europea va manifestandosi, da qualche settimana, uno strano proposito: quello di segregare per legge gli anziani superiori ai 65 anni, per tempi lunghi, allo scopo di proteggerli dall’infezione da Coronavirus. Ne ha parlato fluidamente la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, il 12 aprile, in una intervista rilasciata al quotidiano tedesco «Bild». A sostenere questo proposito, quasi con le stesse parole, è stato poi, in un’intervista al «Corriere della Sera», Vittorio Colao, capo di Vodafone, posto dal governo italiano alla guida della task-force che, con poteri notevoli, ha il compito di gestire l’emergenza a stretto contatto con la UE, e destinato, sembra, ad assolvere nel Paese ruoli primari di governo. La cosa è davvero sconcertante.
Negli appelli di giuristi che ne sono seguiti, è stato spiegato a sufficienza che si tratterebbe di un atto incostituzionale. E questo è il primo dato assodato. La gravità estrema di questo proposito si esprime comunque ad una varietà di livelli. Affermazioni del genere, fatte da alte cariche dell’Unione Europea e da persone cooptate in aree istituzionali italiane, sono già indicative di un clima regressivo, implicando un deficit impressionante di conoscenza delle regole di uno Stato di diritto. Se poi queste intenzioni si traducessero in fatti, in Italia e in altri paesi, è chiaro che si avrebbe uno sprofondamento di civiltà addirittura maggiore e più devastante di quello prodotto in epoca nazista e fascista.
Tra passato e presente si avvertono, a ben vedere, dei curiosi punti di contatto. I gestori dei campi di concentramento nazisti avevano il «buon gusto» di edulcorare le pratiche di annientamento delle loro vittime: ebrei, zingari, oppositori politici e altre categorie sociali e civili. Presentavano infatti i lager come luoghi di lavoro, quasi ameni, fondati su una disciplina rigida ma produttiva e perfino educativa. Nei cancelli di entrata di Auschwitz e di altri lager campeggiava, non a caso, il motto Arbeit macht frei, cioè «Il lavoro rende liberi», che spiega a sufficienza il cinismo beffardo di quei gerarchi. Ma l’odierno scrupolo «protettivo» per gli anziani, da difendere attraverso una «amorevole» segregazione, perché «fragili», «deboli» ed esposti particolarmente all’infezione, va, per abiezione, decisamente oltre.
Il concetto di base è tanto subdolo infatti da capovolgere in senso orwelliano la realtà delle cose. Si provi a immaginare uno Stato ipotetico che imprigioni le donne per «proteggerle» dai serial killer, anziché assicurare alla giustizia questi ultimi. S’immagini, ancora, un ipotetico potere pubblico che invece di perseguire gli atti di razzismo, come è naturale che avvenga in un paese civile, tornasse a rinchiudere, perché no, gli ebrei nei campi per «proteggerli» dalla furia degli xenofobi. Si tratterebbe, evidentemente, di una implosione epocale della civiltà giuridica e, appunto, dello Stato di diritto.
Dalla prospettiva italiana, resta istruttivo poi che persone in grado di concepire disegni del genere si trovino introdotte di fatto, di punto in bianco, nelle istituzioni con ruoli strategici, per decisione o col l’avallo forte di autorità di governo che, se all’altezza dei loro compiti, dovrebbero prenderne invece le distanze e licenziarli in tronco. Evidentemente, c’è qualcosa di cupo che corre nel Paese ed è bene che la nostra società civile rifletta sul futuro che potrebbe profilarsi. Ma è bene che anche questi strani ambienti facciano i loro calcoli, perché la società aperta, la democrazia, può essere capace di difendere sé stessa e di ritrovare nelle sue leggi e nei suoi principî fondamentali i mezzi che occorrono.
La disubbidienza civile, quando si travalica il sistema delle libertà garantito dalle leggi fondamentali dello Stato, oltre che un diritto è un dovere. E come tale ha assunto un proprio ruolo nelle tradizioni del Diritto, in un modo o in un altro. Costituisce poi un punto fermo dell’elaborazione giuridica e nel pensiero politico dell’ultimo secolo. Hannah Harendt e numerosi altri pensatori hanno posto infatti le fondamenta di un discorso pubblico su questo tipo di azione sociale. E in maniera decisiva lo ha fatto John Rawls, riconosciuto come il maggiore studioso della politica del Novecento e ispiratore delle politiche di rinnovamento che negli Stati Uniti si espressero dopo la guerra in Vietnam e ancora negli anni clintoniani. Secondo Rawls, alle leggi palesemente ingiuste e contrarie alla civiltà giuridica è un dovere opporre il diritto di resistenza. Se ne tenga perciò conto.
La storia non ha caratteri predittivi, ma è in grado di lanciare moniti significativi, segnali lucidi, che in questo caso appaiono davvero inquietanti. Se il 1937-38 resta nella memoria delle generazioni come il biennio di sprofondamento pieno e definitivo dell’Italia nella barbarie che la condusse alla guerra, l’emanazione di simili leggi passerebbe alla storia come l’inizio di una nuova barbarie, ancora più profonda, con effetti inimmaginabili.