A Milano come in altre città del Paese è guerriglia: tensioni e dibattito sull’inseguimento mortale e il ruolo delle forze dell’ordine
Posizioni sulla sicurezza e le contraddizioni della sinistra
La pressione sulle forze dell’ordine: chi difende chi ci difende?
La riflessione più amara riguarda però il trattamento riservato alle forze dell’ordine. Uomini e donne che, per stipendi spesso inferiori a quelli di molte altre professioni, rischiano quotidianamente la vita per garantire ordine e sicurezza. Eppure, non è raro che questi stessi operatori diventino bersagli di attacchi politici, mediatici e persino giudiziari.
Ogni qualvolta si verifica un incidente che coinvolge la polizia, il rischio è che l’attenzione si sposti dall’azione criminosa al comportamento delle forze dell’ordine. Questo porta spesso a inchieste che non solo mettono in discussione il loro operato, ma anche la loro motivazione e dedizione. Un carabiniere o un poliziotto che si trova indagato, oltre al danno morale, deve affrontare lunghe e costose battaglie legali, spesso senza alcun supporto concreto dallo Stato che rappresenta.
Una devianza culturale che sfida lo Stato
Ciò che emerge con preoccupante evidenza è una crescente devianza culturale che sfida apertamente lo Stato. Sempre più individui sembrano ritenersi intoccabili, anarchici, liberi di violare regole e leggi senza temere le conseguenze. Questo fenomeno non è solo il risultato di una crisi economica o sociale, ma anche di una narrazione che tende a giustificare comportamenti illeciti in nome di una presunta rivalsa sociale. Giustificazione che porta il nome di una certa politica di sinistra.
Le nostre forze dell’ordine, già pesantemente sfiduciate, si trovano a operare in un contesto dove l’autorità è messa in discussione da più fronti: dalla politica, dalla magistratura e persino dall’opinione pubblica. A ciò si aggiunge il fenomeno segnalato da molti sindacati di polizia, per cui molti operatori, se possono evitare di intervenire, lo fanno, consapevoli del rischio personale, economico e professionale che un’azione decisa potrebbe comportare.
Il sindaco Sala e l’insicurezza di Milano
Non si può ignorare, infine, il ruolo delle istituzioni locali, in particolare quello del sindaco di Milano, Giuseppe Sala. Secondo una larga fetta della comunità milanese, il sindaco avrebbe sottovalutato l’impatto sociale e criminale della sua visione politica orientata a una pro-accoglienza senza limiti. Tale ideologia sembra aver contribuito alla mancanza di misure concrete e incisive per contrastare fenomeni come quelli che accadono regolarmente nelle stazioni ferroviarie e nelle periferie milanesi, di giorno e di notte.
Questa percezione – cosí la definivano e la continuano a definire esponenti di governo di sinistra – che oggi è rafforzata dal fatto che la città sembra essere ormai ostaggio della criminalità, che si muove indisturbata sia nei quartieri centrali che nelle zone più marginali. Il problema dell’insicurezza urbana è diventato una realtà quotidiana per i cittadini, mentre il sindaco appare tranquillo, inerte di fronte all’evidente necessità di intervenire con fermezza. Secondo molti cittadini, Sala non avrebbe agito in modo adeguato, ignorando l’urgenza di piani di sicurezza integrati e di un dialogo più serrato con le autorità preposte, come il prefetto, il questore e lo stesso Ministero dell’Interno.
La sinistra e l’alibi della mancata integrazione
La tragedia di Milano ha messo ancora una volta in evidenza una narrativa cara a una parte della politica di sinistra, che tende a giustificare l’illegalità con il pretesto della mancata integrazione. Secondo questa visione, i problemi legati alla criminalità sarebbero la diretta conseguenza di un fallimento del sistema nel garantire opportunità e inclusione sociale. Ma questa analisi non tiene conto di un dato fondamentale: la cosiddetta “accoglienza a tutti i costi”, promossa proprio da queste politiche, è il terreno fertile su cui si sono sviluppati i fenomeni che oggi gravano sulla sicurezza e sulla vivibilità dei cittadini.
La sinistra continua a trovare alibi per giustificare chi vive nell’illegalità – come in una intervista ha dichiarato la Schlein sulla vicenda “ci dobbiamo vedere chiaro”, attaccando al contempo il governo con l’accusa di non garantire abbastanza sicurezza. Ma questa posizione, oltre ad essere contraddittoria, ignora le responsabilità storiche di politiche che, invece di promuovere integrazione e legalità, hanno alimentato tensioni e problemi irrisolvibili e zero controlli sugli sbarchi di clandestini.
Una riflessione sulla sicurezza, l’integrazione e il costo sociale delle politiche di accoglienza indiscriminata
Il fallimento dell’accoglienza senza regole e l’alibi della sinistra
Quella che viene presentata come una scelta umanitaria si è rivelata in molti casi un dramma sociale. L’accoglienza indiscriminata, priva di un piano strutturato, ha portato all’aumento esponenziale di irregolari, molti dei quali non hanno mai avuto accesso a un reale processo di integrazione. La conseguenza è sotto gli occhi di tutti: stazioni ferroviarie trasformate in luoghi di degrado, periferie dominate da microcriminalità e cittadini che si sentono abbandonati dalle istituzioni.
Questo modello di accoglienza non ha solo fallito sul piano sociale, ma ha anche generato un peso economico enorme per il Paese. Le spese per la gestione dei flussi migratori, per i programmi di assistenza e per il mantenimento di strutture di accoglienza hanno gravato sul bilancio statale, sottraendo risorse che avrebbero potuto essere investite in sicurezza, istruzione o politiche di sviluppo per le comunità locali.
Una criminalità fuori controllo e il costo per i cittadini
L’aumento della criminalità, spesso attribuibile a individui che non si sono integrati e che vedono nelle attività illecite una via di sostentamento, rappresenta oggi uno dei maggiori problemi per le forze dell’ordine. Ogni giorno, i nostri poliziotti e carabinieri sono chiamati a fronteggiare situazioni di estrema tensione, con risorse limitate e senza un reale sostegno politico. Questo clima di insicurezza ha reso molte città italiane invivibili, con un impatto diretto sulla qualità della vita dei cittadini.
A ciò si aggiungono i costi indiretti: i danni materiali causati dalla criminalità, l’aumento delle spese per la sicurezza e la necessità di intervenire continuamente in situazioni di emergenza. L’accoglienza a tutti i costi, senza regole e senza limiti, non è più sostenibile, né economicamente né socialmente. Il prezzo di queste politiche è pagato dai cittadini, che vedono diminuire la loro sicurezza e aumentare il carico fiscale necessario per gestire l’emergenza continua.
Un cambio di paradigma necessario
La sinistra continua a trovare alibi per giustificare chi vive nell’illegalità, mentre attacca il governo accusandolo di non fare abbastanza per garantire sicurezza. Tuttavia, questa posizione non solo risulta contraddittoria, ma ignora le responsabilità storiche di politiche che, invece di favorire integrazione e legalità, hanno finito per alimentare tensioni e problemi irrisolvibili. È urgente un cambio di paradigma che parta dal riconoscimento del fallimento di un modello di accoglienza indiscriminata, per mettere finalmente al centro la legalità, il rispetto delle regole e il diritto dei cittadini a vivere in un Paese sicuro.
In un momento storico come questo, non servono slogan o ideologie, ma un approccio pragmatico, capace di affrontare la complessità della situazione con politiche coraggiose e concrete. Continuare a giustificare l’illegalità con scuse ormai obsolete non fa altro che aggravare una crisi già profondamente radicata nel tessuto sociale italiano.
Non ci sono scuse né alibi: l’80% della comunità italiana chiede serenità, sicurezza e la possibilità di vivere liberamente. Siamo davvero disposti a sacrificare questi valori fondamentali in nome di ideologie che finiscono per proteggere crimine e delinquenza?