Emergenza medici in Sicilia: perché manca personale sanitario e si ricorre a professionalità straniere?
(di Francesco Panasci)
Palermo 30 marzo 2024 – In un disperato tentativo di tamponare la cronica emorragia di personale che sanguina il sistema sanitario siciliano, la Regione ha optato per un’escamotage d’emergenza: l’importazione di cento medici stranieri. Questa mossa, se da un lato offre una risposta immediata alla disperata carenza di medici, dall’altro solleva questioni profonde sulla visione e sulla sostenibilità a lungo termine delle politiche sanitarie regionali.
La cifra annunciata di 100 medici, pur rappresentando un tentativo di risposta, è una goccia nel mare rispetto al fabbisogno di 1.494 unità rilevato dalle aziende sanitarie siciliane. L’iniziativa, promossa con fervore dal presidente della Regione, Renato Schifani, si incardina in una strategia che appare più come un tentativo disperato di colmare vuoti immediati che una soluzione ponderata ai problemi strutturali del sistema. Schifani parla di “ottimo risultato”, ma la realtà dei fatti sottolinea quanto sia precaria la situazione e quanto siano palliativi questi interventi.
Questi medici, provenienti da paesi extraeuropei e dotati di “ottime professionalità ed elevate competenze specialistiche”, come li descrive Schifani, sono destinati soprattutto ai pronto soccorso, dopo aver seguito corsi di formazione linguistica e ricevuto supporto logistico. Se l’adattamento culturale e linguistico rappresenta una sfida non indifferente, la questione più pressante rimane: perché il sistema sanitario siciliano si trova in una posizione tale da dover ricorrere a soluzioni esterne?
Il ricorso a medici stranieri mette in luce la crisi profonda della formazione medica e del reclutamento in Italia, una realtà dove i corsi di laurea in Medicina sono a numero chiuso, le specializzazioni sono un percorso ad ostacoli, e le condizioni di lavoro spesso non competitivi rispetto ad altri paesi europei. Schifani accenna a future soluzioni strutturali, come l’aumento dei posti in facoltà e indennità transitorie per i medici nei “ospedali di frontiera”, ma queste prospettive appaiono come promesse a lungo termine in un contesto che richiede azioni immediate e radicali.
La decisione di reclutare medici stranieri, sebbene possa offrire un sollievo temporaneo, non affronta la radice del problema: un sistema sanitario che fatica a trattenere e attrarre talenti, soffocato da burocrazia, carenza di investimenti e politiche miopi. La Sicilia, come il resto d’Italia, necessita di una rivoluzione nella gestione delle risorse umane in ambito sanitario, dove formazione, merito e condizioni di lavoro vadano di pari passo con le esigenze di una popolazione che invecchia e di un sistema sanitario al limite della sostenibilità.
Oltre la topica: affrontare il fallimento decennale della politica sanitaria
L’arrivo di questi cento medici stranieri non è motivo di celebrazione, ma piuttosto un campanello d’allarme che richiama l’urgenza di riforme profonde. La salute dei cittadini siciliani, e italiani in generale, merita più di una soluzione ad hoc: necessita di una visione a lungo termine che al momento sembra brillare per la sua assenza.
Adesso, la Regione Siciliana si trova di fronte a un bivio cruciale: continuare a navigare in acque tempestose con soluzioni temporanee o dare una sterzata decisiva verso il futuro. È il momento di mettere in atto azioni coraggiose per recuperare il terreno perso, a partire dalla fine dei numeri chiusi in medicina. Questo non solo aumenterebbe l’offerta di medici nel medio-lungo termine ma rappresenterebbe una vera strategia verso un sistema sanitario più inclusivo e capace di rispondere alle esigenze della popolazione.
Per trattenere i talenti nel territorio è necessario affrontare e risolvere i motivi che spingono i nostri eccezionali medici a cercare opportunità altrove. Questo include l’aspetto economico, offrendo remunerazioni competitive; la crescita professionale, attraverso opportunità di specializzazione e aggiornamento continuo; e il miglioramento delle infrastrutture, con investimenti adeguati in attrezzature all’avanguardia e in ambienti di lavoro che favoriscano l’efficienza e il benessere dei professionisti.
Affrontare questi temi non sarà semplice e richiederà un impegno trasversale e sostenuto nel tempo. Tuttavia, è l’unica strada percorribile se si desidera garantire una sanità pubblica efficiente, capace di rispondere alle esigenze della popolazione e di trattare i propri professionisti con il rispetto e la dignità che meritano. Solo così potremo sperare di non dover più ricorrere a soluzioni estemporanee e, in ultima analisi, insufficienti per coprire le lacune di un sistema che necessita di ben altro che topiche temporanee.