a cura dell’Avvocato Francesca Paola Quartararo
La disposizione normativa ex art. 873 c.c. recita: “le costruzioni su fondi finitimi, se non unite o aderenti, devono essere tenuti a distanza non minore di tre metri. Nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore”.
La norma disciplina le distanze nelle costruzioni cioè vale per fondi “finitimi”, ossia confinati o continui, al fine di prevenire la creazione di spazi angusti ed insalubri, intercapedini tra costruzioni che, impedendo il passaggio di aria e luce, possono rivelarsi nocivi per la salute e la sicurezza. Altresì, la norma sul distanziamento delle costruzioni è una regola generale che riguarda fondi attigui o confinanti tra i privati, difatti, il codice civile a norma dell’art. 879 c.c. dispone che le norme relative alle distanze non si applicano alle costruzioni “che si fanno in confine con le piazze e le vie pubbliche”, dovendo in tal caso osservare leggi e regolamenti specifici di riferimento.
Dunque, il proprietario che costruisce per primo deve rispettare il “principio della prevenzione” ovvero sia dovrà:
- Costruire con il distacco dal confine previsto dalle norme vigente;
- Costruire con distacco inferiore alla metà della distanza minima prescritta;
- Costruire sul confine ed il vicino potrà costruire in aderenza o in appoggio.
Cosa succede in caso di violazione delle distanze tra costruzioni, è possibile chiedere il risarcimento del danno provocato dalla costruzione illegittimamente costruita? E’ possibile la riduzione in pristino – tutela in forma specifica – che consenta il recupero dello status quo ante mediante la distruzione o l’arretramento dell’opera?
Nel caso di costruzioni effettuate in violazione delle norme sulle distanze minime legali, al danneggiato è riservata una doppia tutela:
- La tutela specifica;
- La tutela risarcitoria.
Entrambe le tutele si ritengono complementari, in quanto l’azione specifica assicura l’eliminazione della costruzione illecita e l’azione risarcitoria volta al ristoro del pregiudizio economico subito sino al momento della effettiva attuazione della sanzione specifica.
La demolizione dell’opera illecita sul fondo vicino deve ritenersi imprescrittibile dacché viene assimilata dalla giurisprudenza costante ad “actio negatoria servitutis” : “configura – actio negatoria servitutis – come tale imprescrittibile, la domanda del proprietario di rispetto delle distanze legali ravvisabile anche se manca la richiesta di demolire le opere costituenti l’esercizio della pretesa servitù” (Cass. n. 12810/1997).
Altresì la stessa Corte di Cassazione con sentenza n. 867/2000 ha stabilito: “salvo gli effetti dell’eventuale usucapione, l’azione per ottenere il rispetto delle distanze legali è imprescrittibile, perché oltre ad essere modellata sull’actio negatoria servitutis è rivolta non ad accettare il diritto di proprietà dell’attore, bensì a respingere l’imposizione di limitazioni a carico della proprietà suscettibile di dar luogo a servitù”.
Sempre la Corte di Cassazione ha precisato che: “l’azione ripristinatoria di natura reale, volta all’eliminazione fisica dell’abuso, deve essere proposta necessariamente nei confronti del proprietario della costruzione illegittima anche se materialmente realizzata da altri, potendo egli soltanto essere destinatario dell’ordine di demolizione che il ripristino delle distanze legali tende ad attuare”… “l’azione risarcitoria diretta, invece, alla tutela non del diritto dominicale fondiario, ma dell’integrità anche economica del suo oggetto, può essere esercitata anche nei confronti dell’autore materiale dell’edificazione illegittima, al fine di ottenere la condanna al ristoro del danno per gli effetti economicamente pregiudizievoli dell’illecito aquiliano” (Cass. n. 5520/1998).
In materia di violazione delle distanze tra costruzioni previste dal codice civile e dalle norme integrative dello stesso ed i regolamenti edilizi comunali è previsto: “al proprietario confinante che lamenti tale violazione compete sia la tutela in forma specifica, finalizzata al ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell’illecito, sia quella risarcitoria e, determinando la suddetta violazione un asservimento di fatto del fondo del vicino, il danno deve ritenersi “in re ipsa”, senza necessità di una specifica attività probatoria” (Cass. n. 3341/2002).
La domanda risarcitoria disposta a norma dell’art. 2043 c.c., in quanto aquiliano è soggetta alla prescrizione quinquennale a norma dell’art. 2947 c.c., però la giurisprudenza di legittima ha configurato la violazione delle distanza legali nelle costruzioni come illecito permanente, con la conseguenza che la decorrenza del termine per la prescrizione si reitera di giorno in giorno. Secondo il principio: “l’esecuzione di una costruzione in violazione di una norma edilizia dà luogo ad un illecito permanente con la conseguenza che la prescrizione del diritto al risarcimento del danno non decorre dalla data di realizzazione della costruzione ma da quella di cessazione della permanenza e cioè dal momento in cui la costrizione viene demolita, ovvero dal momento in cui essa viene resa mediante rinuncia dell’Amministrazione, che irroghi una sanzione pecuniaria, ad ordinare la demolizione, ovvero ancora dal decorso del termine ventennale utile per l’usucapione del diritto reale di mantenere la costruzione nelle condizioni in cui si trova” (Cass. n. 594/1990).
Inoltre secondo, la giurisprudenza più recente, non incombe sul danneggiato l’onere di provare la sussistenza e l’entità del concreto pregiudizio patrimoniale subito, potendosi considerare il danno da risarcire come necessariamente compromesso nella perpetrata violazione della prescrizione della distanza: “ il danno conseguenza alla violazione delle norme del c.c. ed integrative di queste relative alle distanze nelle costruzioni si identifica nella violazione stessa, costituendo un asservimento “de facto” del fondo del vicino al quale, pertanto, compete, il risarcimento senza la necessità di una specifica attività probatoria” (Cass. civ. n. 3341/2002).
A tale proposito la Suprema Corte di Cassazione, sez. II civile pubb. 23/09/2021 ha pronunciato il principio secondo il quale: “ ai sensi del D.M. 02/04/1968 n. 1444 la distanza tra pareti finestre di costruzioni frontistanti non deve essere minore di metri dieci, regola da osservare inderogabilmente sia dai privati che dalla Pubblica Amministrazione nel rilascio dei relativi titoli abilitativi”.
Tale decisione è pervenuta la Corte a seguito una controversia avvenuta tra il Comune di X e tra Tizio e Caio, proprietari di due costruzioni, una già esistente e l’altra in corso, che non rispettava la predetta distanza rispetto alla prima.
I Giudici della Suprema Corte hanno affermato un principio rilevante, anche nell’ipotesi che il fabbricato fosse ritenuto abusivo: “è ben ammissibile l’acquisto per usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione a distanza inferiore a quella fissata dal codice civile e/o dai regolamento e dagli strumenti urbanistici, anche nel caso in cui la costruzione sia abusiva, atteso che il difetto della concezione edilizia esaurisca la sua rilevanza nell’ambito del rapporto pubblicistico, senza incidere sui requisiti del possesso ad usucapionem e, ciò in conformità agli asserti giurisprudenziali in materia”.
La materia in oggetto necessita di ulteriori approfondimenti per la quale bisogna esaminarli in relazione al singolo caso concreto. Per maggiori informazioni e/o pareri in merito alla questione consultate il sito www.avvocatoquartararo.eu