a cura dell’avvocato Francesca Paola Quartararo
Il licenziamento è disciplinato dal nostro codice civile all’art. 2118 stabilisce: “ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando preavviso nel termine e modi stabili dalla legge, dagli usi o secondo equità. In mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l’altra parte a un’indennità equivalente all’importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso. La stessa indennità è dovuta dal datore di lavoro nel caso di cessazione del rapporto per morte del prestatore di lavoro”.
In ragione alle motivazioni e/o giustificazioni per le quali viene intimato il licenziamento si distinguono:
- Licenziamento per giusta causa;
- Licenziamento per giustificato motivo soggettivo;
- Licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Il licenziamento per giusta causa e/o licenziamento “in tronco” si verifica quando sussiste una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. In tali casi, al lavoratore vengono addebitati comportamenti così gravi da ledere in modo irrevocabile il rapporto di fiducia tra le parti, impedendone la prosecuzione.
Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo/ disciplinare: sussiste allorquando, nei confronti del lavoratore vengono mossi addebiti di natura disciplinare (es: violazione dei doveri contrattuali) da parte del datore di lavoro. Il datore di lavoro è tenuto a rispettare il periodo di preavviso stabilito dalla contrattazione collettiva applicata allo specifico rapporto di lavoro.
A tal proposito la Corte di Cassazione, in merito ad un caso specifico ha stabilito: “legittimo il licenziamento del lavoratore che durante l’aspettativa per motivi familiari svolge attività lavorativa”. Per la corte ed i giudici di merito, sussiste il giustificato motivo soggettivo, poiché la gravità dell’inadempimento si basa sulla violazione del divieto di svolgere, nel periodo di tempo dell’aspettativa concessa per gravi motivi familiari, qualsiasi attività lavorativa. Dunque, il licenziamento per giustificato motivo soggettivo è stato ritenuto proporzionato a tale inadempimento, applicando le clausole generali in relazione all’espresso divieto normativo. Nel caso di specie, è stato applicato nei confronti del lavoratore il licenziamento per giustificato motivo soggettivo per aver lavorato l’attività del coniuge, quando era in aspettativa per gravi motivi familiari.
Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, si verifica esclusivamente da ragioni relative all’organizzazione dell’attività imprenditoriale (come ad es: la cessazione dell’attività lavorativa). Secondo la Cass. n. 25021/2016 ha stabilito che, ai fini della sussistenza del giustificato motivo oggettivo è sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro siano tali da determinare un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa.
Come tutelarsi in caso di licenziamento?
Nel momento in cui un lavoratore riceve una lettera di licenziamento da parte del suo datore di lavoro, potrà agire nel seguente modo:
- Impugnare il licenziamento per via “stragiudiziale” al fine di non incorrere nel termine decadenziale (termine di 60giorni a decorrere dalla data in cui si è ricevuto il licenziamento);
- Dalla data di invio della lettera stragiudiziale del licenziamento, c’è un arco di tempo di 180 giorni per agire via giudiziale, ovverosia, il deposito del ricorso al fine di verificare la legittimità del licenziamento;
A questo punto si aprono due strade:
- Se il giudice ravvede una declaratoria giudiziale di illegittimità del licenziamento, il lavoratore potrà ottenere il risarcimento dei danni subiti (es: le mensilità della propria retribuzione dovute, ferie e permessi non pagati, tfr ecc..) che variano in relazione al tipo di contratto lavorativo stipulato;
- Se espressamente richiesto dal lavoratore la reintegrazione nel posto di lavoro.
- Inoltre, la legge consente al lavoratore di poter agire per altre vie legali, consentendo un “accordo in via bonaria” tra quest’ultimo e il datore di lavoro in sede transattiva. Si tratta di una transazione in sede sindacale ove le parti in causa decidono di comune accordo di siglare in presenza di un soggetto terzo (sindacalista o altra figura) un accordo a saldo e chiusura del rapporto lavorativo in essere.
La conciliazione in sede sindacale (ex art. 2113 c.c.”) tutela entrambe le figure sia del datore di lavoro che il lavoratore poiché gode della “inoppugnabilità”, il che sta a significare, l’accordo bonario tra le parti chiude in maniera “tombale” definitiva e conclusiva le questioni sospese che nessuno ha più da pretendere niente l’uno dal l’altra.
La materia in oggetto necessita di ulteriori approfondimenti per la quale bisogna esaminarli in relazione al singolo caso concreto. Per maggiori informazioni e/o pareri in merito alla questione consultate il sito www.avvocatoquartararo.eu