PAOLO BORSELLINO, UN UOMO LASCIATO SOLO (di Jacopo Cosenza)
Il 19 Gennaio del 1992 morirono in un attentato a Palermo il magistrato Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta nella cosiddetta “Strage di Via D’Amelio”, facendo esplodere una Fiat 126 piena di tritolo all’altezza del numero 21 della suddetta via dove si trovava la casa dell’anziana madre.
Da quel giorno si apre una delle vicende più controverse nella storia del nostro paese, dai presunti depistaggi, alle relazioni Stato-Mafia fino alla scomparsa della famosa agenda rossa di Borsellino dove annotava informazioni sulle sue indagini di mafia.
Oggi vediamo politici e non, citare quasi come uno slogan i nomi di Falcone e Borsellino in nome della lotta alla mafia e della legalità, talvolta romanzando la loro storia e rendendola priva di verità scomode.
La storia di Paolo Borsellino è quella di un magistrato lasciato solo, abbandonato da uno Stato che avrebbe dovuto proteggerlo e che invece, di fatto, lo ha condannato ad una condizione di isolamento.
Borsellino voleva indagare, ma non lo hanno fatto indagare, voleva testimoniare, ma non lo hanno voluto ascoltare, voleva denunciare e combattere con i fatti “Cosa Nostra”, ma hanno liquidato le sue parole.
La stessa figlia del magistrato, Fiammetta Borsellino, ha più volte affermato in varie occasioni che ci sono uomini, il quale hanno lavorato o lavorano ancora oggi per allontanare la verità sulla strage di via D’Amelio.
Nessuno ha voluto guardare dove si doveva fin da subito, a iniziare da quel “palazzo di giustizia covo di vipere” come lo chiamava Borsellino.
Fu umiliato anche dal CSM che nel 1988 gli preferì Antonino Meli alla nomina di capo del pool antimafia di cui era stato un protagonista assoluto.
E forse, ripensando alla frase “Devo sbrigarmi, non ho più tempo” che Borsellino ripeteva da quel maledetto 23 Maggio 1992, giorno in cui sull’autostrada A29 il giudice Falcone venne fatto saltare in aria da Cosa Nostra, si capisce la drammatica solitudine in cui svolgeva la sua attività antimafia, senza il pieno appoggio e sostegno di alcuni suoi colleghi della Magistratura e di uomini dello Stato.
In quei 57 giorni in cui Borsellino non si arrende e continua, nonostante l’amarezza e la sete di verità per la perdita dell’amico e collega Falcone, a portare avanti quella brezza fresca e leggera di legalità in una terra resa così asfissiante da Cosa Nostra.
Per concludere, vorrei ricordare la frase che Paolo Borsellino disse a sua moglie Agnese due giorni prima della sua morte:” Non sarà la mafia ad uccidermi ma saranno altri. E questo accadrà perché c’è qualcuno che lo permetterà. E fra quel qualcuno, ci sono anche i miei colleghi.”