La rubrica dell’avvocato del Martedì _ a cura dell’avvocato Francesca Paola Quartararo
La giurisprudenza di legittimità ha definito il concetto di “casa familiare” quale “ambiente domestico” costituendo un centro di affetti, interessi e consuetudini di vita, ambiente che concorre allo sviluppo e alla formazione della personalità della prole. Dunque, la casa viene così funzionalizzata alla tutela dei figli e del loro interesse a permanere nel proprio focolare domestico, una tutela, che evidenzia i principi costituzionali a norma degli artt. 29, 30 e 31 Cost., a sostegno della protezione dell’interesse della progenie.
La normativa: In sede di separazione la norma che disciplina l’assegnazione della casa familiare ex art. 337 sexies c.c. secondo il quale: “il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli. Dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà …, il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi a norma dell’art. 2643 c.c.”
Tale disposizione normativa è in vigore dal febbraio 2014 introdotta dal D. L.vo 154/2013 e, inoltre è applicabile in sede di divorzio, in cui sopravvive comunque anche l’art. 6 della L. 70 n. 898 e succ. modifiche che prevede: “l’abitazione nella casa familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli o con il quale i figli convivono oltre la maggiore età. In ogni caso ai fini dell’assegnazione il giudice dovrà valutare le condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione e favorire il coniuge più debole. L’assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell’art. 1599 c.c.”
Dunque, si possono verificare ipotesi in cui, la casa ad uso familiare di proprietà esclusiva di uno dei coniugi, venga assegnata all’altro, la questione conseguente è stabilire fino a quando l’assegnazione medesima, ovverosia, il problema che si pone è se e quando il coniuge assegnatario della casa dovrà restituirla all’altro coniuge, legittimo proprietario esclusivo.
Si possono verificare diverse circostante:
In presenza dei figli?
La presenza dei figli premette in presenza di determinati presupposti di disporre all’assegnazione della casa familiare, sicuramente non sussiste differenza tra figli legittimi e figli naturali, ma i figli devono essere di entrambi i coniugi che si stanno separando, poiché non rientrano nel concetto di figlio (ai fini dell’assegnazione della casa) quelli avuti da un precedente matrimonio.
Ai fini dell’assegnazione della casa familiare i figli possono essere minorenni e/o maggiorenni, ma in quest’ultimo caso devo possedere un ulteriore requisito ovvero essere economicamente non autosufficienti. Nel momento in cui il figlio raggiunge la maggiore età questo, non comporta un’automatica decadenza dell’assegnazione della casa familiare, ma per estinguere il diritto di abitazione della casa familiare è necessario che i figli diventino economicamente autosufficienti.
La revoca della casa familiare, segue il principio secondo il quale, il provvedimento di assegnazione della casa familiare (come gli altri provvedimenti relativi alla separazione ed al divorzio) è suscettibile di modifica al variare delle condizioni patrimoniali/economiche dei coniugi e prole.
A tal proposito la Corte di Cassazione con sentenza n.15367/2015 ha affermato :”come per tutti i provvedimenti conseguenti alla pronuncia di divorzio, anche per l’assegnazione della casa familiare vale il principio generale della modificabilità in ogni tempo per fatti sopravvenuti. E tuttavia, tale intrinseca provvisorietà dei provvedimenti in parola non incide sulla natura e sulla funzione della misura, posta ad esclusiva tutela della prole, con la conseguenza che anche in sede di revisione resta imprescindibile il requisito dell’affidamento di figli minori o della convivenza con i figli maggiorenni non autosufficienti”. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio”.
In caso di mancanza dei figli?
Al coniuge (non proprietario dell’immobile) non spetta il diritto di abitazione della casa familiare se non vi sono figli poiché a sensi dell’art. 155 comma 4 c.c. – secondo la quale si attribuisce il potere al giudice di assegnare la casa adibita a nucleo familiare in presenza di figli minori e/o maggiorenni su quest’ultimi in determinati presupposti -norma eccezionale non applicabile in via analogia.
La legge tutela il coniuge (non proprietario e senza figli) al fine di ottenere l’assegnazione della casa coniugale costituendo a suo favore un diritto di abitazione ex art. 1022 c.c. o costituendo un vincolo di destinazione ex art. 2645 ter c.c. oppure gli ex-coniugi possono stipulare un contratto con cui l’assegnazione della casa familiare è un mezzo per realizzare (in tutto o in parte) il diritto al mantenimento del coniuge privo di adeguati redditi propri. Se la questione dell’assegnazione della casa a titolo di mantenimento potrebbe essere portata in sede giudiziale ma in tal caso, la giurisprudenza esclude tale possibilità, poiché ritiene che il diritto al mantenimento può essere soddisfatto solo mediante la quantificazione di una somma di denaro (prestazione fungibile) e il Giudice non può imporre al debitore di eseguire, per estinguere il proprio obbligo.
Nel caso in cui la casa sia cointesta fra marito e moglie?
In questo caso le parti, possono, impegnarsi con una promessa risultante dall’accordo di separazione o divorzio a compiere un atto di trasferimento immobiliare in un momento successivo. Tale atto di trasferimento può essere a titolo oneroso e quindi prevede il pagamento di un corrispettivo, oppure a titolo gratuito. L’impegno così assunto avrà per la legge il valore di un contratto preliminare.
A tal fine, tuttavia, occorre che l’accordo abbia precise caratteristiche e contenga:
a) la dicitura che con esso i coniugi intendono regolare i loro rapporti economici, definendo in questo modo le reciproche ragioni di dare ed avere;
b) la promessa di uno a vendere e dall’altro l’obbligo ad acquistare;
c) l’indicazione di dati catastali e l’atto di provenienza del bene immobile.
In caso di vendita dell’immobile cointestato ai figli spetta una quota sulla casa coniugale?
Se i gli (ex) coniugi decidono di vendere l’immobile, in tal caso la casa adibita ad abitazione familiare, i figli non hanno diritto a nessuna quota, poiché quest’ultimi avranno il diritto ad ereditare il patrimonio esistente alla morte dei genitori.
Nel caso in cui l’immobile di proprietà esclusivo del marito e la ex-moglie perde il diritto all’assegnazione della casa coniugale e il figlio maggiorenne che abbia residenza nella casa del padre può essere scacciato?
In tal caso bisogna fare diverse ipotesi:
a) I figli maggiorenni non autosufficienti: i genitori che mandano via di casa il figlio, restano obbligati a mantenerlo e, quindi, a versagli i soldi non solo per un affitto, ma anche per tutte le spese necessarie a vivere e a formarsi (spese straordinarie);
b) Figli maggiorenni ed autosufficienti: i genitori possono mandare via di casa il figlio senza alcun obbligo nei suoi confronti;
In entrambi i casi, chi caccia di casa un figlio, i genitori devono consentire un margine di tempo necessario a trovare una nuova sistemazione. Questo diritto è riconosciuto non solo ai figli ma chiunque conviva abitualmente con il titolare dell’immobile.
La disciplina in questione risulta molto complessa per la quale bisogna analizzare il singolo caso concreto per poter dare delle informazioni e pareri precisi sulla questione, dunque, sempre opportuno rivolgersi ad un esperto, che potrà consigliarVi la miglior soluzione in relazione al caso specifico.
Per tutte le informazioni necessarie consulta il sito web: www.avvocatoquartararo.eu