(di F. P. QUARTARARO) La rubrica settimanale “L’avvocato del Martedì”.
Generalmente si crede che a rischiare con il lavoro in nero sia solamente il datore di lavoro ma in realtà, i pericoli gravano anche su dipendente il quale addirittura potrebbe rischiare una querela per il reato “di falso in atto pubblico”.
Cosa è il lavoro nero?
Per lavoro in nero o lavoro irregolare, si intende colui per il quale non è stata inviata la comunicazione preventiva di assunzione, “modello telematico UNILAV”, pertanto, un lavoratore sconosciuto alla pubblica amministrazione e, nonostante ciò svolge impiego all’intero dell’azienda. Dunque, quel rapporto subordinato instaurato senza che il datore di lavoro adempia all’obbligo di procedere all’invio della comunicazione alle autorità (centro per l’impiego, Inps, Inail ecc..).
Quali forme e conseguenze ha il lavoro nero?
Vi possono essere diverse forme di lavoro irregolare:
- Il “lavoro grigio” cioè un lavoro che formalmente è regolare, ma che contiene in sé elementi di anormalità, ad esempio, un orario di lavoro diverso rispetto a quanto statuito nel contratto, oppure una parte del pagamento avviene “fuori busta” ove si percepisce un salario diverso da quello contrattuale, o ancora essere inquadrati in un modo – operaio generico – svolgere una mansione diversa – operaio specializzato-;
- Il “lavoro parzialmente irregolare” cioè quando durante la prestazione lavorativa non si rispettano alcune norme relative ai versamenti previdenziali o assicurativi, o ancora non si rispettano i diritti sindacali …;
- Il “lavoro in elusione” è legato alla nascita dei contratti atipici. Capita che gli imprenditori possano far uso di contratti non conformi al lavoro subordinato che consentano di evitare obblighi e spese (ferie, contributi ecc…), la più comune è l’assunzione come “lavoratore autonomo o lavoratore a partita iva”.
Un classico esempio di contratto in elusione sono i contratti in co.co.pro (contratto di collaborazione a progetto) per svolgere un lavoro tipicamente inserito nel ciclo produttivo, che permette al datore di lavoro di “fissare il compenso” e soprattutto di versare meno contributi previdenziali.
A seguito della riforma dell’impianto sanzionatorio introdotta dal D.lgs n. 151/2015 il datore di lavoro rischia una maxi sanzione pecuniaria che può raggiungere anche i 36 mila euro per ogni lavoratore in nero. Per il dipendente impiegato in nero,dipende:
- se il lavoratore abbia dichiarato alle autorità competenti il proprio stato di disoccupazione, in tal caso il lavoratore in nero rischia una condanna per il reato di “falso ideologicamente commessa dal privato in atto pubblico” ex art. 483 c.p.;
- Se, oltre ad aver dichiarato lo stato di disoccupazione, l’impiegato in nero abbia percepito l’indennità di disoccupazione o abbia approfittato di altri ammortizzatori sociali erogati dallo stato o altro ente pubblico, in tal caso si rischia l’indebita percezione di erogazione a danno dello Stato prevista dall’art. 316 ter c.p.
Come si possono evitare le sanzioni sia per il datore di lavoro sia per il lavoratore in nero?
In tal caso il lavoratore in nero ed il datore di lavoro possono raggiungere un accordo bonario, per mezzo della transazione sindacale. Tale accordo permette ad entrambe le figure professionali di avere solamente dei vantaggi:
- Il lavoratore può ottenere i diritti maturati e non goduti per la prestazione di lavoro come ad esempio, retribuzioni non versate, permessi, ferie, malattie, retribuzioni di importo minore rispetto le ore lavoro effettivo, TFR, maternità ed anche straordinari non riconosciuti, nonché di poter usufruire del diritto alla disoccupazione;
- Il datore di lavoro avrà quali vantaggi ad esempio: sgravio fiscale, evitare la vertenza e/o un causa di lavoro ecc…
La condizione essenziale della validità dell’atto di rinuncia e transazione è che la volontà del lavoratore nel compiere questi atti deve risultare in modo assolutamente chiara ed inequivocabile. Il lavoratore deve avere piena consapevolezza e coscienza dell’atto che compie. L’atto di transazione e di rinuncia, pertanto, deve essere redatto in modo completo, dando esatta cognizione della materia del contendere, nei suoi elemento specifici, con la conseguente dichiarazione esplicita che su questi diritti maturati il lavoratore intende transigere e conciliare.
Nel caso in cui l’accordo non dovesse essere rispettato dal datore di lavoro, quali le conseguenze?
L’art. 2113 c.c. prevede che: “il lavoratore non può più impugnare i suoi atti di transizione e di rinuncia contenuti nel verbale di conciliazione sottoscritto avanti il tribunale oppure nel verbale di conciliazione sottoscritto avanti l’ufficio provinciale del lavoro o nel verbale di conciliazione sottoscritto in sede sindacale.” Il lavoratore, prescindendo dalla normativa ut supra, può impugnare l’atto di conciliazione qualora ricorrono i seguenti:
- Elementi in fatto e costitutivi dei vizi della formazione della volontà;
I principi quali “diritti dei lavoratori indisponibili costituzionalmente tutelati” costituiscono in nucleo fondamentale ed essenziale del rapporto di lavoro con la conseguente tutela effettiva del prestatore d’opera. Scardinare questi principi significherebbe travolgere tutta la struttura e l’impalcatura giuridica poste a tutela del lavoratore.
Ad ogni modo il lavoratore prima di agire deve essere consultarsi con un professionista e/o un avvocato esperto nel settore.
Per tutte le informazioni necessarie consulta il sito web: www.avvocatoquartararo.eu