Quest’anno ricade l’80° anniversario dell’affondamento del Piroscafo “Galilea”, avvenuto il 28 marzo del 1942. Carlo Capobianco, con l’opera, “L’affondamento del Galilea. Storia di una nave, dei suoi uomini e di un’inchiesta” edito da Youcanprint, fa luce su una vicenda poco nota avvenuta nel corso del secondo conflitto mondiale. I tre anni di guerra navale nel Mediterraneo che videro a confronto l’Italia e la Gran Bretagna furono, in gran parte, una guerra di convogli. Le battaglie navali, gli scontri e gli altri episodi che hanno caratterizzato questi tre anni pieni di eventi furono, direttamente o indirettamente, causati dal trasferimento di personale e materiale da e per il fronte.
La sera del 27 marzo 1942 il “Galilea”, carica di militari, unitamente ad altre navi salpò da Corinto. Giunta in prossimità dell’isola di Antipaxo fu silurata dal sottomarino inglese Proteus. Lo scoppio creò il caos a bordo, molti si gettarono in mare quando ancora le macchine erano in moto finendo maciullati dalle eliche. Nel naufragio del Galilea persero la vita alpini del battaglione Gemona che stavano rientrando dal territorio ellenico per andare a combattere sul fronte russo; bersaglieri e carabinieri, tra i quali il nonno dell’autore, dichiarato disperso, di scorta ad alcuni prigionieri civili greci. Le poche lance di salvataggio che riuscirono ad essere ammainate furono sbattute dalle onde contro la murata della nave rompendosi. Dopo il siluramento il resto del convoglio di allontanò dal luogo dell’incidente per non esporre altre navi al rischio di possibili attacchi, tranne il Mosto che come consegne ricevute rimase ad assistere i naufraghi. Le operazioni di salvataggio furono eccezionali per l’instancabile volontà del Comandante e del suo equipaggio.
In Friuli-Venezia Giulia la memoria dei tanti alpini che non sono mai tornati a casa è rievocata con commemorazioni annuali. Ma nel Meridione a ricordare la storia si trova solo un monumento posto in piazza Matteotti a Capurso su cui sono incisi i nomi dei caduti del paese. E poi c’è il Sacrario Militare dei Caduti d’Oltremare di Bari, dove sono ospitate alcune salme recuperate sulle spiagge greche. Per il resto possiamo dire che la memoria della Motonave Galilea si sia anch’essa inabissata. Per questo, secondo l’autore la ricostruzione è importante. Un modo per rendere giustizia a tutti coloro che furono lasciati a morire a bordo di quella nave.
Ed è così dal 1999 che Carlo Capobianco per mezzo di ricerche che lo hanno portato a studiare carte conservate negli archivi di Stato e della Marina Militare sparsi tra Bari, Roma e Venezia, ricostruisce la vicenda sotto vari aspetti e da un nuovo punto di vista: la città di Bari. Non manca un’approfondita indagine della nave, una delle più belle della Società Adriatica di Navigazione e l’elenco nominativo di tutti coloro presenti a bordo quella notte. Vent’anni di lavoro e dopo 80 anni si è potuto finalmente dare alla luce “L’affondamento del Galilea”.
Fabio Gigante