LA STRATEGIA SANZIONATORIA PENALE-TRIBUTARIA E L’ETEROGENESI DEI FINI
( puntata “Il Moderatore” del 16.7.2021)
L’evoluzione normativa in materia in materia di sanzioni penali tributarie anche con riferimento ai rapporti con la disciplina della “responsabilita’ amministrativa da reato” degli enti ( D.lgs. 231/01), costituisce una ulteriore manifestazione della “eterogenesi dei fini” in cui incorre, purtroppo spesso, il nostro legislatore.
Vi è un problema di verifica dell’efficacia delle leggi, di analisi del rapporto tra mezzi utilizzati e fini perseguiti, che spesso conduce a risultati opposti a quelli che si vorrebbero perseguire ( alla luce egli interessi tutelati).
Assistiamo infatti ad una strategia punitiva volta a contrastare l’evasione fiscale e, per quanto attiene la responsabilità degli enti, le frodi transnazionali, caratterizzata da una moltiplicazione delle sanzioni (penali, amministrative, da 231) e da aumenti di pena indiscriminati che si inseriscono in quella via che efficacemente il Prof. Flora definisce del “Diritto Penale del Nemico” (espressione post moderna del vecchio diritto penale del tipo di autore). Una strategia che non può essere considerata vincente e che va ampiamente ripensata.
Sul piano dell’evasione fiscale si deve, infatti, osservare che se essa è una “scelta economica in regime d’incertezza” ( come ci insegna il Prof. Pulitini nella sua “analisi diagrammatica” del fenomeno) la strategia di contrastarla con l’inasprimento delle sanzioni penali non può considerarsi risolutiva, presentando anzi delle controindicazioni.
La scelta dell’evasore è il frutto di una ben precisa valutazione economica (dal risultato incerto) volta a comparare l’utilità derivante dal suo comportamento (pari all’ammontare dell’imposta non pagata) ed il costo eventuale ad esso riconducibile nel caso della sua scoperta ( recupero dell’imposta e applicazione delle sanzioni amministrative e/o penali).
In quest’ottica intervenire sulla qualità e quantità delle sanzioni tributarie non produce risultati significativi se rimane bassa (come è nel nostro Paese) la probabilità che il comportamento evasivo venga accertato.
Ciò che, infatti, incide sulle valutazioni del potenziale evasore è la elevata percentuale di essere scoperto, strettamente connessa alla efficacia e pervasività delle attività di controllo.
La via risolutiva è, quindi, oltre alla semplificazione delle fattispecie imponibili, quella del potenziamento dell’Amministrazione finanziaria accompagnata da una significativa riduzione dei costi della compliance (pressione tributaria e adempimenti fiscali) che nel nostro Paese sono particolarmente elevati; difatti, nel Rapporto annuale della Worl Bank e Pwc ( Paying Taxes 2020) l’Italia si colloca al 128 posto su 190 Paesi del mondo esaminati ( con un indicatore relativo al prelievo fiscale e contributivo sui profitti delle imprese pari al 59,1 % a fronte di una media europea del 38,9%).
Anche con riferimento all’inserimento dei reati tributari nell’elenco di quelli che costituiscono presupposto della responsabilità “amministrativa” degli Enti, operato dalla L. 157/2019, il legislatore si muove nella direzione di una logica punitiva che va oltre il livello di “tutela minima” richiesto dalla Direttiva Pif ( lotta alla frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione) inserendo reati tributari che non riguardano solo l’Iva e anche comportamenti evasivi di impatto economico molto più basso di quello indicato dalla stessa Direttiva che espressamente fa riferimento a “reati gravi” contro il sistema comune dell’Iva ( precisando che sono gravi le frodi transnazionali che comportino un evasione pari o superiore a dieci milioni di euro). A ciò si aggiungano le criticità connesse alla possibile violazione del “ne bis in idem” per la previsione di più sanzioni che colpiscono la medesima condotta.
Per la Responsabilità degli Enti vi è poi un problema connesso agli “standard” minimi di gestione e di controllo richiesti in modo indistinto – e quindi di modelli organizzativi – che vanno, invece diversificati in funzione della dimensione dell’Ente, in un contesto, qual’è quello del nostro Paese caratterizzato da un sistema di piccole imprese.
E’ necessario, quindi, un cambio di visione e di strumenti nella strategia legislativa di contrasto ai fenomeni di cui ci occupiamo. Se il legislatore non decide, finalmente, di rivedere la logica di contrasto dando maggiore rilievo alla azione sulla normativa sostanziale che disciplina i comportamenti economici rispetto a quella meramente punitiva si rischia che i provvedimenti adottati risulteranno inefficaci e demagogici; anzi, potrebbero ripetersi gli effetti negativi registrati con i precedenti provvedimenti in materia penale-tributaria volti ad abbassare le soglie di punibilità, che ha rischiano di ingolfare le Procure e i Tribunali, determinando, appunto, un effetto opposto alle finalità che si vogliono perseguire e realizzando, così, nel nostro ordinamento, una ulteriore ipotesi di eterogenesi dei fini.
Prof. Avv. Angelo Cuva
Docente di Diritto Tributario UNIPA