La terza sezione del tribunale di Perugia, presieduta da Giuseppe Narducci, così definì nel 2020 il caso del trattenimento e dell’espulsione dall’Italia di Alma Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Muktar Ablyazov, e della figlia Aula, che nel maggio del 2013 aveva 6 anni “Un rapimento di Stato, un crimine di eccezionale gravità, lesivo dei valori fondamentali che ispirano la Costituzione repubblicana e lo Stato di diritto”.
La decisione di primo grado avvenuta il 14 ottobre del 2020 determinò la rimozione dall’incarico al super poliziotto,condannato a 5 anni per sequestro di persona e falso.
La Corte d’Appello di Perugia, presieduta da Paolo Micheli, ha deciso invece di ribaltare completamente la condanna assolvendo Cortese con formula piena.
Oltre a Cortese e Improta l’assoluzione riguarda l’allora giudice di pace Stefania Lavore (dall’accusa di falso mentre è stata confermata l’estraneità al sequestro che era già nella sentenza di primo grado), gli ex funzionari della mobile romana Luca Armeni e Francesco Stampacchia e quelli dell’ufficio immigrazione Vincenzo Tramma e Stefano Leoni. Tutti dichiarati estranei alle accuse per le quali erano stati condannati.
Per l’avvocato Ester Molinaro difensore di Cortese insieme a Franco Coppi la sentenza «è una pagina di grande giustizia». La difesa ha sempre sostenuto che per l’ex questore di Palermo la questione non era l’espulsione o meno di Alma Shalabayeva e della figlia, avvenuta a causa di un passaporto falso. L’obiettivo era l’arresto di Muktar Ablyazov, in quel momento, indicato come un pericoloso delinquente e terrorista, accusato di aver commesso reati patrimoniali di rilevante entità. Shalabayeva e la figlia dopo l’espulsione in Kazakistan, tornarono in Italia nell’aprile del 2014 e a Shalabayeva venne riconosciuto l’asilo politico. La vicenda ebbe come conseguenze politiche le dimissioni nel 2013 di Giuseppe Procaccini, Capo Gabinetto del Ministero del’Interno, mentre non passò la mozione di sfiducia per l’allora capo del Viminale, Angelino Alfano.
Uno dei migliori poliziotti del nostro paese, un questore democratico, al quale la sentenza restituisce la piena correttezza del suo operato quale grande uomo di stato. Renato Cortese nella sua carriera, prima di guidare la questura di Palermo, aveva catturato, tra gli altri, alcuni boss latitanti del calibro di Bernardo Provenzano, Pietro Aglieri, Gaspare Spatuzza, Enzo e Giovanni Brusca.
Prima del verdetto queste le parole di Cortese “L’unico stato d’animo che intendo portare all’attenzione della Corte è quello suscitato in me dall’affermazione della sentenza con la quale avrei tradito il giuramento di fedeltà alla Costituzione italiana. Tutte le sentenze meritano rispetto e io rispetto anche la sentenza che, seppur ingiustamente, mi ha condannato. Però credo che tutta la mia vita e tutta la mia carriera forse avrebbero a loro volta meritato un minimo di rispetto”.
Caterina Guercio