La cultura è cosa di sinistra: la destra lo sa e non riesce a farne a meno

Nonostante le critiche alla "sinistra radical chic", la destra continua a confermare figure progressiste alla guida della cultura italiana, mostrando l'incapacità di costruire una propria visione e una classe dirigente culturale.

La destra e la cultura: un terreno ancora in mano alla sinistra

 

La gestione della cultura in Italia è da sempre terreno di accesi dibattiti. Oggi, il popolo che ha votato un governo di centrodestra si chiede perché la propria rappresentanza politica non riesca a imprimere una svolta decisa nel settore culturale. Nonostante le invettive rivolte al mondo progressista, accusato di monopolizzare gli apparati culturali, nei fatti il centrodestra sembra cedere spesso il passo proprio a quelle logiche che denuncia. È una situazione che alimenta perplessità e delusioni, specialmente tra gli elettori che si aspettavano un cambio di rotta deciso.

 

Il caso Christillin e il Museo Egizio

 

Un esempio recente di questa dinamica è la riconferma di Evelina Christillin alla guida del Museo Egizio di Torino. Figura storicamente vicina alla sinistra progressista, Christillin ha sempre portato avanti una visione inclusiva e aperta che, pur raccogliendo consensi in alcuni ambienti, si scontra con le aspettative di molti elettori del centrodestra.

 

La decisione di sostenere la sua riconferma, fortemente voluta dal Ministro della Cultura Alessandro Giuli, ha provocato una spaccatura evidente. Guido Crosetto, Ministro della Difesa e figura di peso in Fratelli d’Italia, ha apertamente criticato la scelta, in linea con il programma del partito. Le tensioni interne sono arrivate fino in Argentina, dove la Premier Giorgia Meloni si trovava in visita ufficiale.

 

Questo episodio ha scatenato malcontento tra il popolo di destra, che si aspettava una svolta più netta. La domanda che emerge, soprattutto dalla comunità di elettori che ha dato fiducia al governo, è chiara: davvero non esistevano figure altrettanto competenti che rappresentassero una visione diversa?

 

Un Ministero già sotto i riflettori: il caso Spano

 

La gestione di Alessandro Giuli al Ministero della Cultura è iniziata con degli ostacoli, ereditando le tensioni lasciate dal caso “Boccia Sangiuliano”. Tra i primi episodi  la nomina di Francesco Spano a capo di gabinetto. Spano, ex direttore dell’Unar, era stato coinvolto in uno scandalo mediatico sulla gestione di fondi pubblici, portato alla luce da programmi come Le Iene e Report. La sua nomina, accolta con critiche anche dagli ambienti conservatori, ha portato alle sue dimissioni nel giro di pochi giorni.

 

Inoltre, durante la sua presidenza del MAXXI, uno dei principali musei di arte contemporanea italiani, Giuli ha affrontato un calo significativo di incassi e sponsorizzazioni, alimentando dubbi sulla sua capacità di rilanciare istituzioni culturali prestigiose. Paradossalmente, alcune delle critiche più dure nei suoi confronti arrivano proprio da quegli ambienti progressisti che oggi sembra voler agevolare con le sue scelte.

 

La comunità chiede un cambio di passo

 

Questi episodi riflettono una problematica più ampia: il popolo di destra, che ha scelto questo governo con l’aspettativa di un cambio radicale, non vede ancora segnali chiari di discontinuità. In molte città e regioni italiane, anche quando governate dal centrodestra, si continua a confermare figure legate a logiche consolidate della sinistra. È una scelta che appare come una rinuncia a costruire una visione culturale alternativa, lasciando insoddisfatti molti elettori.

 

La sinistra determinata e cinica, dal canto suo, ha consolidato una rete di relazioni, competenze e legittimazione accademica che le permette di mantenere il controllo delle principali istituzioni culturali. Ma il problema, come sottolineano molti esponenti della comunità di destra, non è la forza della sinistra, bensì l’apparente incapacità del centrodestra di proporre un progetto culturale solido e coerente.

 

La Sicilia: un caso emblematico

 

Anche in Sicilia, una regione spesso governata dal centrodestra, la gestione culturale segue logiche consolidate che favoriscono figure legate agli ambienti progressisti e a trazione di sinistra.

La comunità di destra, sia tra i cittadini sia tra gli operatori culturali, si chiede perché non venga colta l’occasione di proporre una visione alternativa. Non è una questione di mancanza di risorse, ma di volontà e coraggio politico. Perché, si chiedono, il governo regionale non si impegna a costruire una nuova classe dirigente culturale che rifletta le istanze di rinnovamento espresse dagli elettori?

La sfida per il futuro

La cultura non è solo un settore strategico per l’Italia, ma un simbolo identitario. Se la destra vuole davvero rappresentare il popolo che l’ha votata, deve affrontare due sfide fondamentali. La prima è formare una classe dirigente culturale preparata, investendo su giovani professionisti, accademici e manager culturali capaci di proporre una visione inclusiva e innovativa. La seconda è costruire un progetto culturale ambizioso, capace di valorizzare il patrimonio italiano senza rinunciare alla propria identità politica.

In Sicilia, come nel resto d’Italia, richiama il popolo di destra, il futuro della cultura non può continuare a essere una questione di mera continuità. È necessario un cambio di passo che riporti la cultura al centro del dibattito politico, rispondendo alle aspettative di una comunità che chiede rappresentanza e rinnovamento. Fino ad allora, la cultura resterà “cosa di sinistra”, e la destra continuerà a essere percepita come incapace di governare davvero un settore così cruciale.

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