La cucina ha messo sempre tutti d’accordo, o quasi, passando anche dalla pasta fascista all’ascaretto.

La cucina ha messo sempre tutti d’accordo, o quasi, passando anche dalla pasta fascista all’ascaretto.

Nella memoria di Palermo, sicuramente l’arte dolciaria ha dato i natali a tendenze, nuove ricette e vere leccornie, fatte con ingredienti semplici che offrivano prelibatezze al palato sia dei più piccoli così come degli adulti.

Ricordo che nella Via Venezia, in quella depressione creata dal taglio della via Maqueda, c’era un monastero dove le suore di clausura, da dietro una grata vendevano dolci e fragranti biscotti con la “giuggiolena”. Famosi biscotti croccanti rivestiti di semi di sesamo, che ancora oggi troviamo nei banconi dei panifici e nelle migliori pasticcerie della città.

Quei luoghi di culto, oltre a rigenerare l’anima avevano un occhio anche ai peccati di gola. Creavano dei dolci caratteristici, come un distintivo di quel monastero o di quel convento, come ad esempio: le sfincie fradici, del monastero delle Stimmate; i frutti di pasta di mandorle del Monastero della Martorana; del riso dolce del monastero di San Salvatore; le conserve di scorzonera del convento di Montevergini; i caratteristici agnelli pasquali del convento dei Sett’Angeli oppure il bianco mangiare del monastero di Santa Caterina.

Insomma, lo stesso Giuseppe Pitrè si pronuncio scrivendo “al confronto delle suore qualsiasi dolciere si doveva andare a nascondere.”

Ma un settore non trova testimonianze “ecclesiastiche”, quello dei gelati. Infatti una delle primissime fabbriche della città, si trovava proprio accanto al convento delle suore di Piazza Venezia, dove Oreste Rizzo, un giovanotto alto e mingherlino negli anni sessanta produceva ghiaccioli, che ogni mattina distribuiva per tutta la città con le classiche carrette a spinta o per i più facoltosi a pedali. Tutte rigorosamente refrigerate con i blocchi di ghiaccio.

Un giorno, Oreste, che nella sua fabbrica lavoravano con i 5 figli e tre operai, decise di inventare un nuovo prodotto, il famoso gelato di crema di latte, col bastoncino e ricoperto di cioccolato che chiamò Ascaretto. Un vezzeggiativo di Ascaro, che deriva dall’arabo ῾askarī soldato. Una popolazione indigena dell’Africa Orientale in particolare dell’Eritrea, mercenari che furono assoldati dal Regio esercito nel 1940.

L’ascaretto, nero come la notte, prese subito il volo diffondendosi velocemente in tutto il territorio, diversificandosi più nel nome che nella sostanza, come ad esempio: Pinguino o Cremino, sempre con la sua “pelle” nera di cioccolato. Fino a quelli più gettonati dei nostri giorni, come il Magnum, colosso riconosciuto in tutto il mondo.

Da quella piccola realtà di piazza Venezia, il figlio Giovanni mantiene viva la tradizione di papà Oreste, con una fabbrica all’avanguardia nella vicina area industriale di Carini, poco distante da Palermo.

Oggi sui Social, ci ritroviamo ad assistere a dementi che aizzano su tutto, anche sulla forma della pasta “fascista” con inutili polemiche. Chissà se nelle calde giornate estive, mentre addentano un Ascaretto camuffato da Magnum, la loro scelta vada sul cioccolato bianco per non offendere nessuno?

Exit mobile version