“Il primo agosto del 2013 la sezione feriale della Corte di Cassazione presieduta dal giudice Antonio Esposito condanna definitivamente Silvio Berlusconi per evasione fiscale al termine di un iter processuale contestato nella forma e nella sostanza dalla difesa del Cavaliere. Quello che successe in quella camera di consiglio è ancora, a distanza di anni, avvolto da sospetti e da misteri. Nel libro-intervista Il Sistema. Potere, politica, affari: storia segreta della magistratura italiana (Rizzoli, 288 pag., € 19) il magistrato Luca Palamara, all’epoca al vertice del sistema di correnti che governava la magistratura, offre alcuni spunti che gettano nuove ombre sinistre su quella decisione e sui quei giorni convulsi.
«Nelle settimane precedenti la sentenza», mi racconta Palamara nel libro, «ebbi modo di incontrare privatamente Amedeo Franco, uno dei colleghi che avrebbero fatto parte del collegio giudicante. Ebbene, Franco mi parlò delle sue preoccupazioni sia per il modo MILANO – FEBBRAIO anomalo con cui si era formato il collegio, sia per le pressioni che si stavano concentrando affinché l’esito fosse di un certo tipo, in altre parole di condanna per Berlusconi», confermando così la versione che lo stesso Franco diede successivamente a Berlusconi in un incontro privato avvenuto mesi dopo la sentenza («Mi spiace, presidente, quella corte era un plotone di esecuzione e io non ho potuto farci nulla»).
Ma Luca Palamara va oltre. Il 15 gennaio del 2015 il Csm, l’organo di autogoverno dei magistrati in cui Palamara è nel frattempo stato eletto, deve affrontare la promozione del giudice Franco. L’unanimità è data per scontata, ma all’ultimo uno dei magistrati chiamati ad esprimere il voto si tira indietro. Il suo nome è Ercole Aprile, anche lui come Franco membro della giuria che condannò Berlusconi. Ecco cosa racconta di quel giorno Palamara nel libro: «Venuto a sapere della sua astensione lo interrogo sui motivi, e lui mi dice: “Perché in quella camera di consiglio ho visto cose indicibili, cose che voi umani – citando la famosa frase di Blade Runner non potete nemmeno immaginare”».
E qui vale la pena di continuare con il racconto del libro. Chiedo a Palamara: si spieghi meglio. «Il motivo dell’astensione», risponde, «non può che riguardare ciò che successe nella camera di consiglio che condannò Berlusconi. Non si può lanciare il sasso e ritirare la mano limitandosi a dire “Cose che voi umani…”. Gli umani avrebbero diritto di sapere, il Csm anche». Lo incalzo: quale è la verità? «Ciò che è successo lo sanno solo loro, quello che io voglio dire è che la verità è stata chiusa in cassaforte, non la si deve sapere». Ma c’è, nel libro, un altro passaggio inedito che riguarda indirettamente quella sentenza su Berlusconi.
Il giudice Esposito, che firmò la condanna, finisce sotto processo disciplinare davanti al Csm per aver rilasciato – poche ore dopo aver emesso la sentenza – una intervista al Mattino di Napoli in cui nella sostanza anticipava le motivazioni, cosa di per sé assai grave. Racconta Palamara: «La pratica la ereditiamo dalla precedente consiliatura del Csm che aveva preferito rinviare e lavarsene le mani. Io ero conscio che non stavamo giudicando il comportamento di un collega ma la storia recente d’Italia. In effetti, le cose stavano come dicevano gli avvocati di Berlusconi, c’è poco da discutere. Ma si poteva offri- re un assist a Berlusconi dopo che per vent’anni si era cercato di metterlo all’angolo con ogni mezzo proprio quando l’obiettivo era stato raggiunto?».
Chiedo a Palamara: me lo dica lei. «Era una responsabilità enorme che andava oltre il merito della vicenda. Condannare Esposito sarebbe stata una opzione corretta – lo aveva chiesto anche la procura generale – ma inevitabilmente avrebbe messo in dubbio la credibilità della sentenza sui diritti Mediaset. Viceversa, non potete nemmeno immaginare”». E qui vale la pena di continuare con il racconto del libro. Chiedo a Palamara: si spieghi meglio. «Il motivo dell’astensione», risponde, «non può che riguardare ciò che successe nella camera di consiglio che condannò Berlusconi. Non si può lanciare il sasso e ritirare la mano limitandosi a dire “Cose che voi umani…”. Gli umani avrebbero diritto di sapere, il Csm anche». Lo incalzo: quale è la verità? «Ciò che è successo lo sanno solo loro, quello che io voglio dire è che la verità è stata chiusa in cassaforte, non la si deve sapere».
Il giudice Ercole Aprile, parlando con Palamara, così descrisse la situazione nel Consiglio superiore della magistratura in quei giorni: «In quella camera di consiglio ho visto cose indicibili, cose che voi umani non potete nemmeno immaginare». A cosa si riferiva? «La verità è chiusa in cassaforte, non si deve sapere», commenta Palamara. Il giudice Antonio Laudati. Di lui, Palamara racconta a Sallusti: «Era arrivato a capo della procura di Bari per cercare di mettere ordine in un ufficio devastato da lotte interne e fughe di notizie». Invece, finisce nel tritacarne dei colleghi che lo accusano di voler salvare Berlusconi da un reato che non esiste.
I DUBBI DEL GIUDICE APRILE L’OFFENSIVA PARTE DA BARI UNA SENTENZA CON TROPPE OMBRE assolvere Esposito avrebbe rafforzato quella decisione. Senza voler violare il segreto della camera di consiglio posso testimoniare che questo ragionamento logico aleggiava nell’aria, per usare un eufemismo». Palamara, insomma, ci dice che certe decisioni non vengono prese in punta di legge ma in base alla convenienza, in questo caso la convenienza di incastrare Silvio Berlusconi. E su questa tesi è illuminante anche la ricostruzione di quanto avvenne alla procura di Bari quando scoppia il caso di Patrizia D’Addario la presunta escort che un faccendiere pugliese, Gianpaolo Tarantini, infila in un letto di Berlusconi a Roma. Non c’è nessun reato, ma a Bari la procura – molto chiacchierata per precedenti intrecci con la giunta regionale di sinistra di Niki Vendola – si scatena.
Racconta Palamara: «Il capo della procura di Bari è in scadenza, il suo successore, Antonio Laudati, anticipa il suo arrivo per cercare di mettere un po’ di ordine in quell’ufficio devastato da lotte interne e fughe di notizie», che tradotto significa gestire in modo equilibrato l’inchiesta su Berlusconi. Guai a lui. Laudati finisce nel tritacarne dei colleghi che lo accusano di voler salvare Berlusconi da un reato che non esiste. Chiedo a Palamara: parte la stagione dei veleni, ma mi lasci dire che Laudati verrà assolto da tutte le accuse.
Lui risponde: «Sono felice per lui, ma allora non era possibile difenderlo, avrebbe voluto dire mettere in dubbio la fondatezza dell’inchiesta D’Addario e fare passare Berlusconi come vittima di magistrati scellerati. Neppure io, che Laudati lo conosco bene, posso farci nulla. Anzi, da presidente dell’Anm sono tra quelli che imbracciano il fucile contro di lui nonostante le correnti della sinistra giudiziaria pugliese fossero politicamente compromesse con il sistema locale attiguo alla sinistra politica». Ma Palamara va oltre: «Quello delle donne è un buon filone, mediaticamente funziona, e di certo indebolisce la figura del presidente Berlusconi».
La magistratura ci si butta a capofitto fino a incrociare il caso Ruby: «La telefonata – si chiede Palamara – alla questura di Milano per segnalare la disponibilità di una consigliere regionale lombarda, Nicole Minetti, a prendersi in carica la giovane Ruby, fermata per una violenta lite con una amica, è davvero un reato così grave o può rientrare in una normale, sia pure delicata, segnalazione? Qui scatta la discrezionalità dei magistrati, ma all’epoca la discrezionalità su Berlusconi non poteva esistere. andava attaccato, punto». Berlusconi su Ruby sarà assolto sia in appello, sia in Cassazione. Ma il danno politico fu enorme. E Palamara ammette: «Il nostro obiettivo era contrastare Berlusconi, con qualsiasi mezzo». Ecco, qui sta la verità indicibile ancora oggi.”