“Fino ad oggi la prospettiva nella quale si sono mossi i Governi Draghi prima e Meloni dopo è stata quella di intervenire sul prezzo finale e non sul prezzo all’ingrosso dei prodotti energetici – dichiara Giovanni Felice di Confimprese – Questa diversa prospettiva trova una ragione nel fatto che l’energia è un SIEG (Servizio di Interesse Economico Generale) come, ad esempio, il trasporto pubblico. Se per i concessionari una tratta rappresenta un servizio in perdita interviene lo stato per coprire il deficit per e garantire un utile proporzionale ai capitali investisti dal soggetto privato” .
L’energia Elettrica, come il servizio dei trasporti, non è un prodotto qualsiasi che può essere lasciato al libero mercato (circostanza riconosciuta dalla CEE) – spiega ancora Felice – ma rientra tra quei servizi essenziali e necessari al mantenimento della coesione sociale nazionale”.
Questa è la considerazione che, per Confimprese basta a giustificare l’intervento statale, così come avvenuto in altri stati europei. Un altro elemento che deve fare riflettere è le modalità di formazione del prezzo.
Le proposte di Confimprese sono al vaglio delle commissioni parlamentari in vista della prossima discussione sulla legge di Bilancio 2023.
Il GME ed il PUN
Le operazioni riguardanti i costi dell’energia passano attraverso il Gestore Mercati Energetici (GME) – di proprietà del Ministero del Tesoro – che di fatto è il luogo in cui avvengono le contrattazioni sul prezzo dell’energia. Lì si forma il PUN (Prezzo Unico Nazionale) che fissa il prezzo all’ingrosso dell’energia.
“Appare del tutto evidente – continua Felice – che il limitato numero di produttori può favorire accordi più o meno palesi o quantomeno imprimere “tendenze” dei prezzi che poco hanno a che vedere con l’andamento del mercato. Basta dare una occhiata alle statistiche del GME. “
Le strane anomalie dell’andamento del PUN
“In altre parole, in un mercato come è quello dell’energia in Italia, i pochissimi produttori possono facilmente allineare le proprie proposte finendo così per ‘orientare’ il mercato – dichiara ancora Giovanni Felice – e, per il nostro ordinamento ‘fare cartello’ è vietato. Io non so se sia successo questo abbiamo chiesto al Garante della Concorrenza di indagare sull’andamento dei prezzi e sulla uniformità con la quale tutte le aziende produttrici si sono adeguate”. I dati su prezzi di acquisto medi e consumi consultabili on line sul sito web di GEM
(https://www.mercatoelettrico.org/It/Statistiche/ME/DatiSintesi.aspx) partono dal 2004 ed è facile rendersi conto che mai la richiesta ha avuto sbalzi notevoli, mantenendosi costante nel tempo. Nel periodo compreso tra il 2004 ed il 2020 il prezzo medio annuo ha raggiunto un picco massimo nel 2008, con € 86,99 per MWh (megavattore) cioè 0,087 €/ KW.
Complice il rallentamento economico dovuto alla pandemia, il prezzo medio più basso, invece, è stato quello raggiunto nel 2020, appena due anni fa, che si assestò a € 38,92 per MWh cioè 0,039 € per Kwh. Dal 2021 il prezzo comincia costantemente a crescere di mese in mese fino ad arrivare a dicembre 2021 a 0,28 €/Kw, ovvero oltre € 280 per MWh. : rispetto allo stesso mese del 2020, il prezzo è cresciuto in un anno di oltre il 500%.
Quindi, ben prima che scoppiasse il conflitto Russia-Ucraina, presunta causa dei successivi aumenti. Tra giugno e agosto 2021, il prezzo raddoppia passando da 0,27/KW a 0,543 €/Kw.
“Per noi – conclude Giovanni Felice – è difficile capire come mai nessuno intervenga o segnali queste anomalie ed è altrettanto anomalo, ma per noi diventa una conferma degli accordi sottobanco. Infatti, tra settembre ed ottobre il prezzo passa da 0,43 a 0,211 €/Kw in un solo mese”
Caterina Guercio