“Il mondo del lavoro in Italia è sostanzialmente cambiato sotto gli occhi di tutti a colpi di provvedimenti d’urgenza che con l’alibi dell’emergenza sanitaria, così facendo le aziende sia pubbliche che private hanno scavalcato regole di base e concertazioni necessarie per garantire i lavoratori.
Il lockdown ha nostro malgrado modificato radicalmente la filiera del lavoro commutando il tutto in qualcosa di labile, complici la cassa integrazione e lo smart working”.
Così dichiarano Filippo Virzì e Raffaele Loddo componenti del Comitato Consultivo Provinciale Inail di Palermo a rappresentanza dei lavoratori per il sindacato Ugl che denunciano : “Lo smart working si è insidiato dentro le case dei lavoratori, da numerosi siti e social di rilevanza nazionale, apprendiamo che vi sono dei dipendenti che continuano a lavorare da casa, quando in teoria gli stessi starebbero percependo la cassa integrazione, ovvero un ristoro della loro retribuzione coi soldi di tutti i contribuenti.
A questo punto ci domandiamo se sono compatibili lavoro e percezione della cassa integrazione, si ravvede l’ipotesi di una truffa ai danni dello Stato?”
“Ci appare – aggiungono Virzì e Loddo – un vero e proprio conflitto di legge, la sensazione diffusa è che vi siano state alcune aziende che ne abbiano approfittato della bontà del Cura Italia per alleggerire le retribuzioni, o meglio, lasciarle immutate, ma fare in modo cha a pagarle siano in parte loro, datori di lavoro, e in parte lo Stato”.
“Ricordiamo – spiegano – che la cassa integrazione prevede il rispetto di regole per averne diritto all’erogazione.
Invece lo smart working – come disciplinato dalla legge n. 81 del 2017 c.d. ‘lavoro agile’ prevede che tempi e ritmi siano liberamente scelti dal dipendente, il quale risponderà solo del lavoro ultimo finale, il dipendente sceglie liberamente di prestare la sua opera intellettuale, il capo è esonerato da ogni forma di responsabilità, per cui decade per l’azienda ogni forma di responsabilità.
Messa in questi termini, quindi, ecco che lo smart working si trasforma in una trappola per chi lo effettua”.
“Pertanto – stigmatizzano Virzì e Loddo – lo smart working lo si presente come la panacea del lavoro, ma non è così.
Oggi al contrario si manifestano tutte le insidie che questo approccio alla digitalizzazione del lavoro può causare in termini di diritti e rispetto della legalità.
Senza contare che lo smart working aumenta le ore lavorate senza alcun controllo, quindi aumento della produttività a costi ridottissimi per il datore di lavoro”.
“ll sindacato – concludono – deve intervenire sulle regole prima di continuare su questa strada, lo smart working va urgentemente normato.
Tanti studi dicono che è la nuova schiavitù del lavoro, l’eliminazione dell’accordo individuale nel procedere allo smart working. è un favore alle imprese piccole e grandi che possono così utilizzare i propri dipendenti come vogliono.
Sarebbe interessante capire quanti dipendenti messi in cassa integrazione da aziende anche pubbliche nel periodo antecedente alla cassa integrazione siano stati messi in smart working e poi chiesto la cassa integrazione”.