Caso Ramy: scontro politico e accuse ai carabinieri, tra verità giuridica, ideologismi e strumentalizzazioni. Il mio approfondimento.

Dall'inseguimento alla polemica: un'analisi legale e politica sulle dichiarazioni che accusano lo Stato di omicidio

Caso Ramy Elgaml: fuga, inseguimento e accuse ai carabinieri – giustizia o strumentalizzazione politica?

Un approfondimento a cura di Francesco Panasci

Premessa

18 gennaio 2025 – Incolpare i carabinieri per le conseguenze di un inseguimento potrebbe essere corretto solo se viene provato che l’azione è avvenuta con negligenza o senza rispettare i protocolli. Tuttavia, la colpa principale dovrebbe ricadere su chi fugge e mette in pericolo se stesso e gli altri. Piuttosto che demonizzare le forze dell’ordine, il focus dovrebbe essere sulle regole operative e sulle strategie per rendere questi interventi più sicuri ed efficaci.

Il clima sociale e politico

Questa vicenda riporta a galla un problema più ampio: il crescente clima di sfiducia nei confronti delle forze dell’ordine. Il dibattito rischia di polarizzarsi ulteriormente, con i criminali che sembrano agire indisturbati, mentre chi dovrebbe fermarli si trova costretto a muoversi tra normative e accuse pubbliche.

Il caso Ramy Elgaml

La tragica morte di Ramy Elgaml, avvenuta dopo un inseguimento dei carabinieri, ha scatenato un feroce dibattito politico e mediatico. Alcune voci della sinistra radicale, tra cui Marta Collot, portavoce di Potere al Popolo, hanno rilasciato dichiarazioni forti e controverse, accusando apertamente e pubblicamente le forze dell’ordine di omicidio e attribuendo l’accaduto a motivazioni razziste.

Le sue dichiarazioni sono state fatte in un programma di prima serata, Dritto e Rovescio, condotto da Paolo Del Debbio.

I fatti: cosa è accaduto?

“I carabinieri hanno ucciso Ramy. Questo è un omicidio. Lo Stato e il suo apparato repressivo sono responsabili della sua morte.”

Marta Collot, Potere al Popolo

Inoltre,  In un articolo pubblicato su FarodiRoma, Collot ha dichiarato che Ramy è stato “ucciso da un sistema di prevaricazione e sfruttamento consolidato” e ha criticato l’operato delle forze dell’ordine, affermando che “le cariche e le manganellate chiudono il cerchio dell’impunità”.

 

Analisi giuridica: inseguimento e responsabilità

L’inseguimento era legale?

Sì. Secondo il Codice della Strada, le forze dell’ordine hanno il dovere di fermare chi elude un posto di blocco (Art. 192 C.d.S.). Un mancato stop può nascondere:

Gli agenti non possono ignorare chi scappa. L’inseguimento è una procedura standard, non una scelta discrezionale.

La morte di Ramy è responsabilità delle forze dell’ordine?

No, a meno che emergano prove di condotte pericolose da parte dei militari.

Se l’incidente è avvenuto senza un contatto diretto e volontario tra il veicolo delle forze dell’ordine e la moto, allora la morte è una tragica conseguenza della fuga, non un atto imputabile ai carabinieri.

Le accuse di razzismo sono fondate?

No. Le forze dell’ordine non potevano sapere chi fossero i due fuggitivi prima della caduta della moto. L’elemento razziale è stato introdotto strumentalmente nel dibattito.

Le dichiarazioni di Marta Collot: diffamazione aggravata e calunnia?

Diffamazione aggravata (Art. 595 c.p.)

Definire pubblicamente un carabiniere “assassino” e accusare lo Stato di “omicidio”, senza prove, può configurare il reato di diffamazione aggravata.

Pena prevista: fino a 3 anni di reclusione o una multa.

Calunnia (Art. 368 c.p.)

Se l’accusa di omicidio è consapevolmente falsa, potrebbe configurarsi anche il reato di calunnia, punibile con:

⛔ Reclusione da 2 a 6 anni.

Possibili azioni legali dei carabinieri

In sintesi: libertà di opinione o attacco diffamatorio?

Marta Collot ha il diritto di criticare l’operato delle forze dell’ordine, ma non può accusarle senza prove di un reato grave come l’omicidio.

Giuridicamente, le sue parole potrebbero essere diffamatorie e potenzialmente querelabili.

Se le forze dell’ordine decidessero di agire legalmente, il caso potrebbe finire in tribunale, portando alla condanna per diffamazione della portavoce di Potere al Popolo.

Questa vicenda è un monito sull’equilibrio tra legalità, sicurezza e responsabilità istituzionale.

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