Benvenuto al nuovo e atteso anno.
Ci siamo arrivati non con poche fatiche e apprensione. Anzi, molto depressi, se vogliamo essere onesti con noi stessi.
L’anno che ci lasciato non può essere dimenticato facilmente per via delle tante emergenze e serie problematiche che ha destabilizzato il pianeta e i popoli che vi abitano
Siamo comunque abituati a porre speranza al nuovo che arriva e lo facciamo credendoci per davvero. Siamo fatti così: la cosiddetta speranza e sempre l’asso nella manica di ognuno di noi pur quando in gioco c’è la vita.
Tuttavia non possiamo dire che il peggio è passato, perché non è passato.
Se scendiamo nel dettaglio e guardiamo a casa nostra non possiamo dirlo proprio poiché siamo e stiamo dentro il “peggio” dove manca la “qualsiasi”.
Palermo soffre di mancanza di normalità e di tutte quelle “banalità” che la renderebbe città civile. I servizi più normali ormai per il cittadino sono cose di “lusso”.
Ma andando al dunque cosa sogna e spera la comunità da questo nuovo anno?
Se da una parte pensa e scommette (per sentire comune) sul PNRR quale unico strumento per superare tutte le crisi, pure quella pandemica, dall’altra pensa e spera quella normale quotidianità per dimenticare quella scarsa qualità di vita cui ormai ci siamo abituati.
Palermo, difatti, che di scarsa qualità di vita ne è l’esempio sembra oramai aver perso anche spiritualità e fede: la città è stata dimenticata da DIO e non lo si dice perché presi da estremo pessimismo, ma per fatti e disfatti acclamati
Ribadire e stilare un programma dei “casini” di Palermo sarebbe una ripetizione noiosa. Servirebbe a poco e ci ricorderebbe quel tristissimo anno che abbiamo appena lasciato.
Ci affidiamo dunque ad un colpo di culo?
Forse. Pure… sappiamo di certo che solo una organizzazione (lato sensu) fatta di uomini e donne di buona volontà, competenti, esperti, onesti e innamorati della propria terra potrà intervenire su una nuova vivibilità civile dove il popolo esprimerà quel “concetto culturale” di cui tutti ci sentiamo esperti.
Risulterebbe troppo disonesto puntare il dito contro la “zia Pina” che ha un problema culturale per giustificare ogni catastrofe politico amministrativa.
E allora cosa gridare al nuovo 22?
Gridiamo affinché tutte quelle misure disattese diventino operative, produttive e portino benessere sociale e produttivo per potere dare “spazio” a ognuno di noi nei diversi ambiti.
Gridiamo no alla speranza:
Speriamo di non sperare perche stanchi di essere speranzosi e poi perché la stessa speranza non vuole essere più sperata.
Il 22, ad ogni modo, secondo molti suona bene, specie, per chi come noi, ha fondato la propria vita e lavoro all’insegna del “fare e costruire” con passione e senza mai risparmiarsi.
Ecco questo è un modo concreto per dare il benvenuto al nuovo anno che non si spera, semmai si organizza.
Auguriii