38 minuti dopo la mezzanotte del 23 dicembre di 43 anni fa, il DC 9-32 Alitalia, in fase di avvicinamento alla pista 21, ed a circa 3 km dall’aeroporto di Punta Raisi, impattava violentemente sul mare a poca distanza dalla costa di Marina di Cinisi, in provincia di Palermo. Si trattava del volo 4128 partito da Roma-Fiumicino e diretto a Palermo-Punta Raisi con a bordo 129 tra passeggeri e membri dell’equipaggio.
Ieri, a Palermo al Parco Uditore, per non dimenticare quanto accaduto, è stato piantato un albero per ricordare i 108 morti del disastro aereo alla presenza di Don Ciotti, giunto a Palermo per l’occasione, l’Associazione Libera, l’Associazione Parenti delle Vittime della Strage di Punta Raisi, presieduta da Cristina Scuderi, e la Cooperativa Parco Uditore. E’ stato scelto di piantare un albero di canfora, un arbusto originario dell’Asia, che fu il primo a rinascere ad Hiroshima devastata dalla seconda guerra mondiale, e di porlo a poca distanza da quello dedicato a Rita Borsellino. Gli alberi già dal 1992 a Palermo sono diventati simbolo di rigenerazione della memoria.
Quella sera il DC 9, con matricole I-DIKQ, denominato “Isola di Stromboli”, era stato autorizzato per un avvicinamento notturno VOR/DME alla pista 21. La procedura imponeva di stabilire l’ingresso sulla radiale di 217° gradi di Raisi al punto “Guffy”, situato a 16,5 NM nord-est del radiofaro a 4000 piedi. Qualcosa non andò per il verso giusto. La parte iniziale della discesa fu effettuata seguendo le regole del volo IFR, (le regole del volo strumentale), fino a due miglia dall’aeroporto, poi l’equipaggio interruppe la discesa a circa 150 piedi (50 m) di quota sul mare, e passò a pilotare in VFR (regole del volo a vista) cercando di individuare il punto di contatto sulla pista, perdendo però altra quota. I piloti proseguirono la manovra, ormai divenuta pericolosa, in quanto non si vedevano le luci di Raisi.
Il DC 9 negli ultimi nove secondi del volo, volò quasi a pelo d’acqua, alla velocità di 150 nodi (280 km/h). Fatale fu una forte raffica di vento che fece perdere la pochissima quota residua e l’aereo si schiantò sull’acqua con l’ala destra, spezzandosi in due tronconi e affondando. Gran parte dei passeggeri mori nell’impatto, altri morirono per le temperature rigide dell’acqua. Solo 21 passeggeri riuscirono a sopravvivere grazie alle barche dei pescatori che non esitarono a tagliare le reti cariche di pesci e li raggiunsero per salvarli. Come riportano le ricostruzioni dell’epoca la causa dell’incidente fu attribuita a un errore dei piloti, che ritennero di essere più vicini all’aeroporto di quanto in realtà fossero e decisero di effettuare la discesa finale prematuramente.
Si trattò del più subdolo delle visual illusion, il Black-Hole Approach Illusion o illusione da “buco nero”. Una specifica tipologia di disorientamento spaziale notturno che può manifestarsi in prossimità degli aeroporti, in assenza di luce (senza stelle o luna), in prossimità di zone di mare, di montagna o foreste, ovvero luoghi dove le luci di una pista sono quasi completamente immerse nel buio. In tali condizioni il pilota non ha alcun riferimento visivo e in assenza di elementi, quali il gradiente tissutale, la sua percezione della profondità può risultare falsata con conseguente effetto sull’angolo di discesa.
Fabio Gigante