Ucraina, i droni cambiano il corso della guerra
Nella guerra moderna, gli UAV (Unmanned Aerial Vehicles – velivoli a pilotaggio remoto), meglio conosciuti come droni occupano ormai un ruolo di primaria importanza. Fino a poco tempo fa, quando si parlava di UAV, si faceva spesso riferimento a impieghi bellici dove una delle parti ha a disposizione un apparato militare molto più forte e sofisticato dell’avversario. Era il caso degli Stati Uniti in Afghanistan, dove, per tutta la durata della guerra le forze americane hanno impiegato i propri droni d’attacco, i temutissimi Predator e Reaper, per dare la caccia ai talebani e ai leader di al-Qaeda. Dai modelli militari più grandi, a quelli di tipo commerciale di piccola taglia, questi sistemi vengono utilizzati non solo come arma di offesa, ma anche come strumento di ricognizione. Grazie ai droni, qualsiasi organizzazione militare (anche quelle con risorse economiche più ridotte) ha la possibilità di raccogliere informazioni in tempo reale, incrementando così le proprie capacità di ISR (Intelligence, Surveillance & Reconnaissance).
Negli ultimi anni, molti paesi hanno saputo dotarsi di droni a basso costo, spesso di tipo commerciale, proprio per tentare di ridurre il divario tecnologico con i loro nemici. Con lo scoppio della guerra in Ucraina tale fenomeno ha raggiunto una dimensione mai vista prima, in quanto entrambi i Paesi in guerra hanno fatto un vasto utilizzo di droni. Si tratta, quindi, di due forze convenzionali capaci di schierare sul campo di battaglia veri e propri sciami di UAV per raggiungere diversi scopi tattici.
Tra i droni impiegati dalla Russia spicca il Shahed-136, di produzione iraniana e soprannominato dai russi Geranium-2. Si tratta di un sistema UAV di medie dimensioni e con un’apertura alare di 2.5 metri. Questo drone di tipo kamikaze, viene scagliato contro i propri obiettivi, esplodendo a contatto con la testata esplosiva con cui è armato. I Shahed-136 sono velivoli a pilotaggio remoto a utilizzo singolo, ma che presentano diversi vantaggi. Di fatto, tali droni hanno un costo relativamente basso, circa 20.000 dollari, a differenza di altri sistemi più sofisticati e di alcuni missili impiegati dai russi. Talvolta, come riportato dal Guardian, i Shahed-136 costano meno dei sistemi utilizzati dalle forze ucraine per abbatterli, come ad esempio i missili cruise C-300 e i sistemi terra aria NASAMS (National Advanced Surface-to-Air Missile System) di produzione danese. Mosca ha impiegato i Shahed-136 per neutralizzare diversi obiettivi militari nella regione di Kharkiv, ma anche per colpire infrastrutture strategiche (ad esempio centrali elettriche) ed edifici civili a Odessa, Kyiv e Mykolaiv. Di contro, l’impiego di Shahed-136 rivela alcune debolezze della Russia. Infatti, questi droni vengono utilizzati come un’alternativa ai missili, in quanto le riserve di Mosca di tali armamenti più sofisticati si stanno lentamente esaurendo. Un altro drone utilizzato dai Russi è l’Orlan-10, di produzione domestica. La particolarità di questo velivolo consiste nell’avere capacità di guerra elettronica. Esso viene quindi utilizzato anche per disturbare i sistemi di comunicazione nemici, inclusi quelli dei droni ucraini.
Tra i droni utilizzati da Kiev, il Bayraktar-TB2 può essere considerato come il pezzo pregiato nella dotazione ucraina. Di produzione turca e con un’apertura alare di 12 metri, il Bayraktar TB2 rientra nella categoria dei droni militari di grossa taglia. Velivolo d’assalto molto sofisticato, in quanto armato con missili a guida laser, questo sistema viene utilizzato dagli ucraini sia come drone di attacco, che come drone di ricognizione. In particolare, il Bayraktar TB2 si è rivelato molto efficace nel neutralizzare i mezzi corazzati e le postazioni di artiglieria russe, ma anche per colpire bersagli oltre le linee nemiche. Come i russi, anche Kiev utilizza droni kamikaze. Lo Switchblade-300 di produzione statunitense può essere considerato l’equivalente del Shahed-136 utilizzato dai russi. Si tratta di un sistema di dimensioni ridotte, molto difficile da individuare e sviluppato per colpire piccoli gruppi di soldati o mezzi corazzati: la piccola taglia ne limita il raggio di azione (circa 10 km), ma il potenziale distruttivo sembra superiore a quello del Shahed-136.
Inoltre, l’Ucraina riceverà presto dalla Germania diversi esemplari di Vector, droni di ricognizione con una durata di volo di circa 120 minuti e la possibilità di trasmettere informazioni a più di 30 km di distanza. Questo sistema UAV consentirà agli ucraini di incrementare la precisione della propria artiglieria. A popolare i cieli ucraini, non sono solamente i droni militari, ma soprattutto i sistemi commerciali di piccola taglia. Ne è un esempio il Mavic 3, un velivolo prodotto dall’azienda cinese DJI e dal costo di soli 4.000 dollari. Utilizzato sia dai russi, sia dagli ucraini, specialmente per missioni di ricognizione, tali droni commerciali possono anche essere armati con granate esplosive, le quali vengono rilasciate sui bersagli. Sono proprio questi sistemi di dimensioni ridotte a far comprendere l’enorme potenziale che hanno i droni nei teatri bellici contemporanei.
Persino gli esemplari più primitivi hanno la capacità di trasmettere in tempo reale le posizioni e gli spostamenti delle forze nemiche, consentendo alle artiglierie di incrementare la propria precisione, ma anche di aggiustare il tiro dopo un primo raid o di verificare le condizioni del bersaglio. Sono diversi i vantaggi tattici apportati dai droni, ma non bisogna sottovalutare l’impatto psicologico di queste armi difficili da individuare. Rispetto alla Russia, l’Ucraina ha saputo sfruttare di più i droni, rendendoli uno dei simboli della resistenza. I social media, sin dallo scoppio della guerra, hanno visto la pubblicazione di diverse immagini e video degli attacchi delle forze ucraine contro i mezzi corazzati russi o altri obiettivi militari, trasformandoli in uno strumento di propaganda nelle mani di Kiev. Infine, non bisogna trascurare che, con l’allungarsi della guerra, saranno sempre maggiori gli sviluppi tecnologici apportati ai droni. Al momento, alcuni modelli hanno già la possibilità di agire autonomamente, come il drone di sorveglianza Orlan-10 usato da Mosca.