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Italia: il paradosso della legalità tra giustizia e ingiustizia. Il caso Ramy.

Dalle case occupate al tragico caso Ramy: quando il mancato rispetto delle regole trova giustificazione nella solidarietà mal interpretata.

Italia: il paradosso della legalità tra giustizia e ingiustizia

Quando la tutela dei diritti si trasforma in difesa dell’illegalità.

14 dicembre 2024 – In Italia, il confine tra giustizia e ingiustizia appare sempre più sfumato, generando paradossi che minano la fiducia dei cittadini nelle istituzioni. Recenti episodi evidenziano come la tutela di presunti diritti possa, in realtà, favorire comportamenti illegali.

Ad esempio, quando un individuo fugge a tutta velocità durante un controllo di polizia e l’inseguimento si conclude tragicamente, una parte di opinione pubblica, per lo più politicamente di sinistra, punta il dito contro le forze dell’ordine, accusandole di eccesso di zelo. Si dimentica che l’origine del dramma risiede nella scelta irresponsabile del fuggitivo, che nella maggior parte dei casi si fugge per eludere la giustizia.

Analogamente, i borseggiatori colti in flagrante e filmati dai cittadini per avvisare gli altri vengono tutelati in nome della privacy. Si invita a non riprenderli, ma a chiamare la polizia, ignorando che nel frattempo il danno è già stato fatto. Così, la privacy dei malfattori sembra avere più peso della sicurezza collettiva.

Un fenomeno allarmante è quello delle occupazioni abusive. Secondo dati del 2023, in Italia si contano oltre 50.000 immobili occupati illegalmente, di cui 30.000 di proprietà pubblica e 20.000 privata. Spesso, approfittando dell’assenza dei proprietari, magari anziani ricoverati, gruppi organizzati forzano le abitazioni e vi si insediano. Quando le forze dell’ordine intervengono, si sollevano proteste in difesa degli occupanti, appellandosi al “diritto alla casa”, trascurando il diritto dei legittimi proprietari.

Per contrastare questo fenomeno, nel settembre 2024 è stato introdotto il reato di “occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui”, con pene da due a sette anni di reclusione. Tuttavia, l’applicazione della legge incontra spesso ostacoli, tra burocrazia e resistenze ideologiche.

Anche l’uso del taser da parte della polizia per sedare individui violenti suscita polemiche. Si parla di metodi disumani e di “Stato di polizia”, dimenticando che tali strumenti servono a proteggere sia gli agenti sia i cittadini.

In questo contesto, una parte della politica e della società sembra più incline a difendere chi viola le regole piuttosto che tutelare le vittime. È urgente ristabilire un equilibrio tra diritti e doveri, affinché la legalità non sia solo un concetto astratto, ma una realtà tangibile per tutti.

Tornando al caso tragico di Ramy

Il caso di Ramy rappresenta un esempio emblematico di una generazione sempre più distante dal rispetto delle regole e incline a vivere nell’anarchia. La ricerca di uno stile di vita ostentato, fatto di abbigliamento di marca, motori di grossa cilindrata e auto di lusso, sembra giustificare qualsiasi azione, anche a costo di mettere in pericolo la vita altrui. Il desiderio di ottenere successo economico nel più breve tempo possibile prevale su ogni principio di civiltà e convivenza, contribuendo a creare una cultura del “tutto è permesso”.

Ciò che colpisce è come una tragedia del genere, anziché spingere a una riflessione collettiva sulla necessità di ripristinare regole e responsabilità, diventi occasione per alcuni settori della politica – in particolare di sinistra – per legittimare, se non giustificare, questa anarchia. Durante la manifestazione dedicata a Ramy, si è assistito a un coro di solidarietà che, pur umano e comprensibile nel dolore, ha assunto toni che sembrano quasi ignorare il contesto e le conseguenze delle azioni del giovane e del suo complice. La mano sul petto, le parole di supporto, finiscono per legittimare uno stile di vita che va contro i principi fondamentali della giustizia e della responsabilità sociale.

Le immagini dell’inseguimento, che hanno fatto il giro dei media, raccontano una storia diversa: due persone in fuga, a velocità folli, che mettono in pericolo decine di automobilisti e pedoni, completamente estranei a questa deriva di anarchia. Il pericolo per le persone comuni è stato immenso, ma l’attenzione sembra concentrarsi più sull’epilogo tragico che sull’origine del problema. In questa narrazione, chi mette a rischio la vita degli altri diventa vittima, mentre le forze dell’ordine, che tentano di ristabilire l’ordine e proteggere la comunità, vengono spesso demonizzate.

La vera domanda, allora, è: dove si trova il confine tra solidarietà umana e complicità ideologica con comportamenti che distruggono il tessuto sociale? E fino a quando il mancato rispetto delle regole potrà essere interpretato come un errore trascurabile, anziché come una minaccia alla convivenza civile?

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