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RUBRICA DELL’AVVOCATO DEL MARTEDI’_ LICENZIAMENTO NULLO: DIFFERENZE TRA LICENZIAMENTO RITORSIVO E QUELLO DISCRIMINATORIO

Licenziamento ritorsivo e licenziamento discriminatorio quali le differenze?

  • Il licenziamento ritorsivo/ per rappresaglia: si caratterizza allorquando sussiste un illecita reazione del datore di lavoro a un comportamento legittimo del dipendente, classico esempio, la rivendicazione salariale del lavoratore ecc…;
  • Il licenziamento discriminatorio che si rappresenta quando, sussiste un’ingiustificata differenza di trattamento. Il datore di lavoro adotta provvedimenti, di per sé, “apparentemente” leciti, ma nello scegliere il dipendente da licenziare adotta dei criteri illeciti. Si pensi ad esempio ad un licenziamento per giustificato motivo soggettivo, – carenza finanziaria – ma la scelta del licenziamento dei dipendenti ricade solamente sugli anziani e sulle donne in gravidanza, appartenenza del lavoratore a una determinata categoria politica, religiosa e/o razziale ecc..

Dunque, nel licenziamento discriminatorio, il motivo illecito attiene “all’ingiustificato odio nei confronti del singolo dipendente/i, in tal caso, il lavoratore deve dimostrare elementi fattuali che rendono plausibile l’esistenza di una forma di discriminazione, gravando sul datore di lavoro il rischio dell’incertezza; mentre nel licenziamento ritorsivo il motivo illecito è legato ad un sentimento di vendetta o rappresaglia, in tal caso, occorre che il lavoratore dimostri il motivo illecito e il fatto che sia stato esclusivo e/o determinante. Nel licenziamento ritorsivo ricorre in un numero indeterminato di ipotesi – non è codificato dalla legge -.

Il licenziamento ritorsivo e discriminatorio sussiste la possibilità di essere considerati nulli?

Assolutamente Si. Il licenziamento ritorsivo si considera nullo allorquando il motivo illecito che ha determinato la risoluzione del rapporto di lavoro è l’unica effettiva ed esclusiva causa di recesso. Nel licenziamento discriminatorio non è necessaria la presenza di alcun requisito, poiché sono tassativamente indicati dalla normativa. A tal proposito la Corte di Cassazione si è pronunciata sul tema del licenziamento nullo, confermando il proprio orientamento in relazione agli elementi che connotano e rispecchiano il licenziamento ritorsivo e discriminatorio.

La Corte di Cassazione con Ordinanza n. 17267 del 2024 ha affermato che: “… è possibile tracciare un parallelismo – teorico e pratico – tra le due forme di licenziamento nullo, che vengono spesso accomunate, senza tuttavia che se ne conoscano le caratteristiche e le e le peculiarità come delineate dalla giurisprudenza degli ultimi decenni”.

La Corte di Cassazione ispirata ad una controversia proveniente dalla Corte di Appello di Roma, afferente ad un caso di licenziamento per giusta causa irrogato nei confronti di un dipendente in qualità di infermiere addetto in una casa di cura. Le accuse a carico del dipendente erano dovute alle condotte ripetute di grave insubordinazione e negligenza in violazione delle norme disciplinari di cui all’art. 40 del CCNL applicato al rapporto di lavoro, in modo particolare quella di indossare in servizio “monili” – ovvero un abbigliamento/acconciature assolutamente non conso all’ambiente di lavoro presso il quale era inserito – potenzialmente nocive per la salute degli ospiti della struttura in quanto veicolo di contagio per i pazienti più fragili ed immunodeficienti e tali da pregiudicare l’immagine della struttura. Il dipendente impugna il licenziamento asserendo la natura discriminatoria e ritorsiva. La Corte, adita dal lavoratore, confermava la sentenza di merito in primo ed in secondo grado, respingendo le domande del lavoratore asserendo che: “… il licenziamento si connotasse per tali profili di invalidità, ritenendo per conto proporzionato alle condotte contestate e accertate, tali da determinare un irrimediabile vulnus al rapporto fiduciario”. A questo punto la Corte di Cassazione precisiva le differenze che connotano la nullità del licenziamento discriminatorio e ritorsivo. Precisava che, il licenziamento discriminatorio consiste nell’estromissione del lavoratore dal rapporto di lavoro, intimata sulla base di un elemento differenziante tassativamente indicati dall’art. 4 l n. 604/1966 e art. 15 l n. 300/1970, nonché dagli art. 2 D.lsg. 215/2003 e art. 2 D. lgs. n. 216/2003. La Cassazione afferma che: “… si tratta di provvedimenti datoriali gravemente illeciti, in quanto – a prescindere dalla motivazione apparente – è dettato da vere e proprie ragioni di ingiustificabile odio nei confronti della singola persona o di una categoria di persone …”; Oltretutto, la Corte di Cassazione ha voluto facilitare il lavoratore nella dimostrazione dell’onere della prova “…dispone un’attenuazione del regime probatorio ordinario in favore del ricorrente prevedendo a carico del datore di lavoro l’onere di fornire la prova dell’inesistenza della discriminazione a condizione che il lavoratore abbia previamente fornito al giudice elementi di fatti, desunti anche da dati di carattere statistico, idonei a fondere, in termini precisi e concordanti, anche se non gravi, la presunzione dell’esistenza di atti, patti, o comportamento discriminatori…”. Nel caso di licenziamento ritorsivo il provvedimento di licenziamento trova la sua ragione in un intento di vendetta o rappresaglia del datore di lavoro in danno del lavoratore, a fronte di un comportamento di quest’ultimo non gradito ma lecito. La Corte ha precisato inoltre che: “affinché si configuri la nullità del licenziamento per ritorsione – il motivo illecito addotto, ai sensi dell’art. 1345 c.c. deve essere infatti determinante, costituite l’unica effettiva ragione di recesso ed esclusivo, nel senso che il motivo lecito formalmente addotto risulti insussistente nel riscontro giudiziale”. Dunque, la legge attribuisce alcune agevolazioni sul piano probatorio al lavoratore, il quale dovrà dimostrare ai fini dell’onere probatorio, l’esistenza della ritorsione che sia la motivazione determinante ed esclusiva a sostegno del licenziamento.

ONERE PROVATORIO

  • Licenziamento ritorsivo: il lavoratore deve dimostrare affinché il giudice ne possa dichiarare la nullità, l’illiceità del motivo unico e determinante del recesso quando il datore di lavoro abbia apparentemente fornito la prova dell’esistenza della giusta causa di licenziamento. Ragion per cui l’onere della prova del carattere ritorsivo nel provvedimento di licenziamento adottato dal datore di lavoro grava sul lavoratore il quale dovrà dimostrare elementi specifici, tali da ritenere con sufficiente certezza l’intento “malefico della rappresaglia”.

In ogni caso sia il licenziamento discriminatorio sia quello ritorsivo, sono entrambi sanzionati con la “tutela reintegratoria piena – art. 18 ST. Lav.), dunque, l’obbligo di reintegra nel posto di lavoro a carico del datore, oltre che al risarcimento del danno.

La materia in oggetto necessita di ulteriori approfondimenti per la quale bisogna esaminarli in relazione al singolo caso concreto. Per maggiori informazioni e/o pareri in merito alla questione consultate il sito www.avvocatoquartararo.eu

 

 

Francesca Paola Quartararo

Avvocato Francesca Paola Quartararo

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