I maltrattamenti in famiglia è un reato disciplinato dall’art. 572 c.p., avente lo scopo di tutelare l’integrità psico-fisica nei contesti familiari che convivono nello stesso ambiente familiare. Difatti, la norma recita che: “chiunque,…., maltratta una persona della famiglia o comunque convive, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da tre a sette anni”. La norma esplica, dal punto di vista giurisprudenziale, con il termine maltrattamenti, un complesso di atti vessatori prevaricatori e oppressivi che si perpetuano in modo costante nel tempo causando nella vittima afflizione fisica e psichica.
Il reato di maltrattamenti si classifica come:
- Un reato proprio e abituale: gli atti persecutori e violenti sono perpetrati in modo continuo da un soggetto nei confronti della vittima, generalmente un familiare/convivente;
- Un reato avente dolo generico: colui che commette gli atti persecutori e violenti ha come scopo quello di ingenerare nella vittima una serie di vemenze negative sia fisiche che psichiche.
Il reato di maltrattamenti in famiglia, anche se la dicitura “famiglia” possa destare errore, la norma ha una connotazione più generalizzata che va oltre il rapporto dei conviventi more uxorio, cioè coloro che sono legati da un rapporto affettivo o di parentela con il maltrattante; difatti, a tale proposito la Corte di Cassazione ha affermato che: “sussiste il delitto di maltrattamenti in famiglia tutte le volte che la relazione presenti intensità e caratteristiche tali da generare un rapporto stabile di affidamento e solidarietà”. La giurisprudenza maggioritaria ritiene, che il soggetto che agisce, deve essere in qualche modo legato alla vittima, anche se non sussistono legami di parentela e/o affinità né rapporti di coabitazione domestica, si pensi all’ambiente scolastico, lavorativo ecc…
Quali sono le condotte tipiche che rientrano nella categoria del reato di maltrattamenti in famiglia?
- Ingiuria;
- La minaccia;
- Violenza verbale/fisica/psichica;
- Mobbing familiare.
La giurisprudenza di legittimità ha affermato che: “la norma di cui all’art. 572 c.p. si applica a chiunque maltratti una persona della famiglia o comunque con essa convivente” a cioè bisogna prestare attenzione a dei concetti fondamenti diversi ma affini tra di loro “convivenza” e “coabitazione”.
La Corte di Cassazione con sentenza n. 31276/2020 definisce “convivenza” una condivisione stabile degli spazi cui è sottesa una relazione caratterizzata da legami affettivi e stabili e impegni reciproci di assistenza morale e materiale (famiglia e convivenza more uxorio e tutti quei rapporti privi di un norme ma riconosciuti degni di tutela giuridica). Invece, con il termine “coabitazione” si intende una relazione basata esclusivamente su ragioni di opportunità e convivenza di condivisione degli spazi comuni, si pensi alle case degli studenti, i quali coabitano nello stesso appartamento che dividono spazi comuni ma che non sono legati da vincolo affettivo. Per cui, i maltrattamenti quando sono commessi ai danni di un familiare o di una persona convivente, le ipotesi di delitto assorbe il reato di atti persecutori aggravati, che invece resiste in assenza di un attuale relazione affettiva e condivisione degli spazi.
A tal proposito la Cassazione Penale sez. VI n. 30761/2023 ha affermato che: “in assenza di coabitazione la mera presenza di una relazione affettiva in occasione della quale vengono a radicarsi eventuali condotte di matrice vessatoria, non costituisce un valido substrato cui ancorare la configurabilità dei maltrattamenti in famiglia”. La giurisprudenza più recente con tale pronuncia ha espletato che per la configurazione del reato di maltrattamenti, in assenza di coabitazione la mera presenza di una relazione affettiva non costituisce un valido substrato di famiglia potendo configurarsi il reato di stalking aggravato. La giurisprudenza, inoltre, sostiene che la coabitazione seppur non necessariamente continuativa, è condizione necessaria ma non sufficiente alla contestualizzazione in termini di maltrattamenti delle condotte abitualmente vessatorie ascritte al maltrattante. In assenza di tale presupposto la mera presenza di una relazione affettiva in occasione della quale vengano a radicarsi eventuali condotte di matrice vessatoria, non costituisce un valido substrato cui ancorare la configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia, potendosi riscontrare, in un’ottica unitaria e complessiva, gli estremi dell’ipotesi aggravata del reato di atti persecutori ex art. 612 bis II comma c.p. La giurisprudenza ritiene illegittima ogni applicazione analogica della norma di maltrattamenti in famiglia a “situazioni non ascrivibili ad alcuno dei possibili significati della norma di cui all’art. 572 c.p.”, con la conseguenza che, in presenza dei presupposti di assenza di convivenza e di “mera” coabitazione potrà trovare applicazione la norma di cui all’art, 612 bis c.p.
La materia in oggetto necessita di ulteriori approfondimenti per la quale bisogna esaminarli in relazione al singolo caso concreto. Per maggiori informazioni e/o pareri in merito alla questione consultate il sito www.avvocatoquartararo.eu