PONTE SULLO STRETTO, DICIAMO LA VERITA’: ALLA POLITICA NON INTERESSA FARLO
Sull'opera più discussa della storia, si continua a discutere: in realtà si potrebbe passare subito alla sua realizzazione, ma non lo si vuole.
Pochi giorni fa, in Parlamento, il Ministro per le Infrastrutture e la Mobilità Sostenibile, Enrico Giovannini, ha dichiarato che la prima fase del progetto di fattibilità per il Ponte sullo Stretto si concluderà nella primavera del 2022 per poi avviare un dibattito pubblico e pervenire ad una scelta condivisa ed evidenziare le risorse nella legge di bilancio 2023.
Per realizzare questo ennesimo progetto, che il governo intende affidare a Italferr, società del gruppo Ferrovie dello Stato, sono stati stanziati 50 milioni di euro. E’ prevista anche “l’istituzione di un gruppo di lavoro dedicato a supportare e coordinare l’intero processo“. Insomma, l’ennesima Commissione per decidere cosa? Di fare il Ponte, finalmente? Magari!
Ponte si, Ponte no, la pantomima infinita
Per scansare ogni equivoco, con una successiva nota il Ministero smentiva di avere già preso una decisione favorevole alla realizzazione dell’opera, correggendo, in tal modo, il titolo di un quotidiano che aveva mal sintetizzato un’intervista allo stesso Ministro. Non fosse mai che qualche forza politica della maggioranza di governo, tradizionalmente no-Ponte , se la prendesse a male: ne andrebbe della tenuta del governo! A quella del Paese, ed in particolare della sua parte meridionale, penseremo un’altra volta…
Rimane quindi in campo la cosiddetta “opzione zero” cioè nulla: la situazione rimane quella che è, con i “ferry boats” che traghetteranno persone, automezzi, TIR e treni per sempre. E che, proprio in questi giorni, regalano oltre 3 ore di attesa all’imbarco, sotto il sole ad oltre 40°, agli sprovveduti che, stoicamente, si ostinano ancora a voler passare le loro vacanze in Sicilia.
Una pantomima che dura ormai da oltre 50 anni questa del Ponte sullo Stretto, ma che negli ultimi mesi ha assunto connotati grotteschi. Ricorderete che giusto un anno fa venne fuori l’idea del tunnel sotto lo Stretto. Il sottoscritto l’aveva smontata in poche righe (vedi articolo su siciliainprogress.com), anche perché l’ipotesi era stata scartata già negli anni ’80. Ma al governo è servita una Commissione di 16 esperti che solo nel maggio sorso ha emesso il proprio verdetto, con la bocciatura del tunnel di cui tutti si erano innamorati l’estate scorsa, vice ministro Cancelleri in testa.
Un pò di storia…
Ma questa inutile la perdita di tempo, per chi ci governa, non era ancora sufficiente. La Commissione, ha infatti considerato plausibile l’ipotesi del Ponte a tre campate, scartata, anch’essa, oltre 30 anni fa! E’ comprensibile che non lo ricordino i comuni mortali (un pò meno che non lo ricordino al Ministero) ma è del 1986 il primo pronunciamento da parte della Stretto di Messina s.p.a., sull’ipotesi di ponte a due o più campate. Seguito un anno dopo da un analogo pronunciamento delle allora Ferrovie dello Stato. Entrambi contrari.
La pietra tombale arrivò nel 1990, quando due esperti di fama mondiale, l’americano Robert Whitman e l’olandese Abraham Van Weele, nominati per dare un responso definitivo su questa ipotesi, esclusero categoricamente la realizzazione anche di una sola pila in mezzo allo Stretto. Nelle motivazioni si faceva laconicamente riferimento alle complesse problematiche in fase costruttiva ed alla forte suscettività ai terremoti.
Per questo si decise per un’unica, lunga campata da 3,3 km, appoggiata su piloni realizzati in terraferma, poi sviluppata nei successivi 20 anni, fino all’attuale progetto definitivo; regolarmente approvato e redatto nell’ambito di un appalto già assegnato.
I lavori, in realtà, sono già iniziati!
Per chi non lo sapesse, infatti, i lavori per il Ponte sono stati già appaltati, nel 2005, ad un raggruppamento di imprese internazionali (tra cui danesi, canadesi e giapponesi) capitanato da Salini-Impregilo, oggi Webuild. E sono persino iniziati, con la realizzazione dello spostamento della ferrovia a Cannitello, sulla sponda calabrese, proprio per liberare spazio per uno dei due piloni. Tanto che Webuild vuole essere risarcita per il contratto unilateralmente cancellato dallo Stato. E parliamo di oltre 800 milioni di euro, per i quali la causa è tuttora in corso.
Una situazione che sarebbe ridicola se non fosse drammatica, visto che da essa dipende il futuro della Sicilia e non solo: tutto il meridione si avvantaggerebbe della costruzione del Ponte.
Sappiamo benissimo che senza Ponte non sarebbe possibile portare l’Alta Velocità ferroviaria in Sicilia, e senza la Sicilia, con un bacino d’utenza di cinque milioni di persone, non sarebbe conveniente farla arrivare in Calabria, che di abitanti ne ha meno di due milioni. Con tanti saluti ai benefici indotti dalle linee AV che, nei territori in cui sono state realizzate, incrementano del 10% la crescita del PIL.
Ma soprattutto, potremmo dimenticarci di sviluppare la nostra portualità che, non collegata alla rete di trasporto via terra ad alta capacità (la cosiddetta rete TEN-T), non ha futuro; nonostante si trovi al centro del mare, il Mediterraneo, in cui transita quasi oltre il 27% del traffico mondiale containers. Senza collegamenti stabili con il continente, infatti, non avrebbe senso farne sbarcare neanche uno, di containers.
Nel frattempo, la Sicilia si spopola
Quando invece è proprio dalla logistica che nascerebbero quelle opportunità di sviluppo in grado, finalmente, di risollevare l’economia dell’isola in drammatica crisi; l’emigrazione è ormai attestata sulle 15-20.000 persone ogni anno, quasi tutte con un elevato grado di istruzione. Dati ISTAT alla mano, la nostra regione ha perso quasi 170.000 residenti nel decennio 2009-2019. Lo stesso permanere dell’insularità costa alla Sicilia oltre 6,5 miliardi di euro l’anno: si evince dal rapporto dell’Istituto di Ricerca Prometeia, commissionato dalla Regione siciliana e pubblicato pochi mesi fa.
In queste condizioni diventa persino illusorio realizzare i raddoppi ferroviari, magari collegati ai porti, o completare l’anello autostradale (opere di cui abbiamo trattato nelle settimane precedenti). Il permanere della condizione di insularità dell’isola le renderebbe inutili cattedrali nel deserto. Esattamente al contrario di chi sostiene che, senza di esse, lo sarebbe il Ponte.
Se solo ci fosse la volontà politica…
Diciamolo chiaramente: se il governo italiano volesse realizzare il Ponte sullo Stretto, potrebbe farlo in pochi giorni. Basterebbe, semplicemente, riavviare l’iter contrattuale dell’appalto improvvidamente bloccato dieci anni fa. Se invece lo stesso governo rilancia ipotesi bocciate 40 anni fa e su queste si inventa commissioni, nuovi progetti, relative spese, dibattiti pubblici ed altre attività che dureranno decenni, è evidente che manca la volontà politica per realizzare quest’opera. Tanto vale, a questo punto, dirlo subito evitando di prendere in giro l’intero Paese, siciliani in testa.
Ultima considerazione: tutto ciò avviene in presenza di un governo nazionale che comprende quasi tutte le forze politiche presenti in Parlamento; poichè non abbiamo visto grandi proteste, a favore del Ponte, da parte dell’opposizione, possiamo dedurre tranquillamente che, rispetto a questo tema, nessuno può dirsi esente da colpe.