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Anteprima nazionale a Palermo, “Il giudice e il boss”, il nuovo film di Pasquale Scimeca sul Giudice Terranova e il Maresciallo Mancuso.

Sono passati 45 anni da quel 25 settembre 1979, giorno in cui la mafia uccise il giudice Cesare Terranova e il suo stretto collaboratore, il maresciallo Lenin Mancuso. E proprio ieri sera la loro storia è stata vista, in anteprima nazionale, a Palermo al cinema “Rouge et Noir”, in “Il Giudice e il Boss”. Il film è firmato dal regista Pasquale Scimeca presente alla proiezione assieme a molti degli attori che hanno dato il contributo a questo film che, in altri tempi, sarebbe stato etichettato, come fu per i film di Francesco Rosi, “un esempio di cinema sociale“.

Ieri sera a salutare il pubblico, oltre a Scimeca, erano presenti Gaetano Bruno, che interpreta Cesare Terranova, Peppino Mazzotta, nel ruolo di Lenin Mancuso, Naike Anna Silipo, che interpreta la moglie di Terranova Giovanna Giaconia, e Claudio Castrogiovanni nel ruolo di Luciano Leggio, il boss corleonese. “Il Giudice e il Boss” racconta la storia del giudice Cesare Terranova e del maresciallo di polizia Lenin Mancuso impegnati in una lotta epica contro il male, impersonato dal boss Luciano Liggio e dagli uomini corrotti delle Istituzioni. Una storia del nostro tempo, culminata con il processo che, per “legittima suspicione”, si tenne a Bari nell’estate del 1969, e che vide dietro le sbarre i boss e i picciotti della spietata mafia dei Corleonesi.

Ma, come si chiede Pasquale Scimeca “Se il processo di Bari, istruito dal giudice Terranova, dopo dieci anni d’indagini svolte assieme al maresciallo Mancuso, al vicebrigadiere Agostino Vignali e al Colonnello dei Carabinieri Ignazio Milillo, si fosse concluso con la condanna di Luciano Liggio, Totò Riina, Binnu Provenzano e gli altri 62 picciotti del clan dei Corleonesi, quante morti innocenti, quante stragi si sarebbero potute evitare?” e, con amarezza, dice che “le cose sono andate diversamente e il giudice Terranova fu lasciato solo, umiliato e offeso, a combattere contro i mulini a vento”.

Fabio Gigante

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