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“Giustizia fai da te o fallimento delle istituzioni? Il caso della 65enne che ha investito il suo scippatore accende il dibattito politico”

La vicenda di Viareggio divide l'Italia: la sinistra condanna, la destra parla di "rischio d'impresa" per chi vive nell'illegalità. Un episodio che solleva interrogativi su sicurezza e immigrazione.

Quando la giustizia sembra mancare, il rischio è che i cittadini esasperati scelgano di farsi giustizia da soli, mettendo a rischio l’intero equilibrio sociale.

 

Un fatto che ha fatto parlare, un episodio che ha riempito le prime pagine dei giornali e aperto il dibattito in tutti i telegiornali locali e nazionali: la vicenda della donna di 65 anni che ha investito un cittadino marocchino, dopo che quest’ultimo l’aveva scippata, ha diviso l’opinione pubblica. Il gesto estremo della signora, che ha scelto di farsi giustizia da sola, ha sollevato discussioni accese, con voci schierate sia a favore che contro.

 

L’episodio è avvenuto a Viareggio, dove la donna, scippata e minacciata con un coltello puntato alla gola, ha deciso di reagire. Dopo aver subito l’aggressione, la 65enne ha inseguito il suo scippatore con il SUV e, una volta raggiunto, lo ha investito per ben quattro volte. Poi è scesa dall’auto per riprendersi la borsa, il simbolo di una rabbia esplosa in un atto di vendetta improvvisa.

 

Il dibattito che ne è scaturito tocca il nervo scoperto di una società in cui la percezione di insicurezza e ingiustizia è sempre più diffusa. C’è chi, da una parte, giustifica la reazione della donna come un gesto dettato dalla paura e dalla frustrazione di fronte a un sistema che non sempre tutela i cittadini. Dall’altra parte, c’è chi condanna fermamente l’atto, sostenendo che il farsi giustizia da soli non possa mai essere una soluzione accettabile.

 

La questione, dunque, è complessa. Episodi come questo riflettono non solo un problema di sicurezza, ma anche una crisi di fiducia nelle istituzioni. Le leggi sembrano non bastare più, e questo alimenta un clima di esasperazione tra la gente comune, che sente di non essere più protetta. Il confine tra vittima e carnefice si confonde, lasciando spazio a una giustizia “fai da te” che rischia di diventare sempre più frequente.

 

Un monito per la società

 

Ogni mestiere, legale o meno, comporta dei rischi. Così come gli imprenditori affrontano i rischi d’impresa, anche chi opera al di fuori della legalità deve considerare i pericoli insiti nelle proprie azioni. E qui sta la provocazione: i delinquenti devono mettere in conto che il loro “fare impresa” comporta rischi, tra cui quello di poter perdere la vita. Il loro modo di operare, che si fonda sull’intimidazione, la violenza e il danno verso gli altri, può avere conseguenze fatali.

 

Se poi ci scappa il morto, come in questo caso, è un rischio che devono assumersi e non certo trasferire sulle spalle delle persone oneste, che vivono rispettando le leggi e senza molestare il prossimo. Questa vicenda dovrebbe far riflettere non solo chi delinque, ma anche la nostra società su quanto sia necessario ristabilire un senso di giustizia che funzioni davvero, per evitare che la giustizia privata diventi una risposta comune e pericolosa ai mali della criminalità.

Il dibattito politico e la divisione tra sinistra e destra

 

Quello che fa più specie in questa vicenda, oltre al drammatico atto compiuto, è il dibattito politico che si è subito acceso. Da una parte, la sinistra ha condannato fermamente l’azione della donna, definendola un atto di giustizia privata inaccettabile. Dall’altra, la destra ha sollevato la questione dei “rischi d’impresa”, come anticipato nella nostra conclusione, sostenendo che l’uomo scippatore, un clandestino presente in Italia da oltre 20 anni, non avrebbe dovuto trovarsi sul nostro territorio.

 

La destra ha puntato il dito sul fatto che questo individuo, un immigrato irregolare e con un passato criminale, non sarebbe mai dovuto restare impunito per così tanto tempo. Per loro, il problema non è solo l’atto estremo compiuto dalla donna, ma l’esistenza stessa di una situazione in cui persone come quest’uomo restano nel Paese senza alcun controllo, causando insicurezza. La loro posizione, dunque, si concentra sulla necessità di azioni più decise e radicali, che facciano fronte al problema dell’immigrazione clandestina e alla gestione della criminalità. È proprio in questo contesto che la destra ha evocato il concetto di “rischio d’impresa”, sostenendo che chi sceglie la via del crimine deve accettarne le conseguenze, anche quelle più estreme.

 

D’altra parte, la sinistra ha mantenuto una posizione più rigida, criticando non solo il gesto della donna, ma anche l’approccio della destra alla questione della sicurezza e dell’immigrazione. In molti hanno sottolineato come, nonostante ci sia attualmente un governo di destra al potere, la situazione non sia cambiata: “Se questo individuo era qui da vent’anni, perché non è stato rimpatriato prima?” è stata una delle obiezioni più frequenti. La sinistra ha sempre avuto una posizione più “buonista”, come molti la definiscono, nei confronti degli stranieri, accusando la destra di strumentalizzare episodi come questo per alimentare un clima di odio e divisione.

 

Tuttavia, questo dibattito senza fine tra sinistra e destra lascia una domanda di fondo: chi dovrebbe prendersi la responsabilità? Da una parte, abbiamo una politica di sinistra spesso accusata di essere troppo permissiva e incapace di garantire sicurezza ai cittadini perbene. Dall’altra, una destra che vuole dimostrare di mantenere le promesse fatte agli elettori, e che ora, dopo anni di richieste, vuole vedere cambiamenti concreti e riforme coraggiose per risolvere una questione che sembra sempre più fuori controllo.

 

In conclusione, riflettendo su quanto accaduto, si può osservare come ogni mestiere, sia legale che illegale, comporti dei rischi. Come gli imprenditori affrontano i cosiddetti “rischi d’impresa” o i banchieri i “rischi bancari”, i poliziotti contro i criminali, anche chi opera al di fuori della legalità si espone a pericoli intrinseci al proprio “fare impresa”. Volendo fare una provocazione, possiamo dire che anche i delinquenti devono accettare che il loro modo di operare, mirato a creare reddito o causare danno agli altri, può avere conseguenze fatali. Il rischio di rimetterci la vita è qualcosa che dovrebbero mettere in conto, proprio come un qualsiasi rischio calcolato, piuttosto che trasferire questo rischio sulle spalle delle persone oneste che conducono la propria esistenza nel rispetto delle leggi e senza molestare il prossimo.

 

Questo monito dovrebbe far riflettere non solo chi vive nell’illegalità, ma anche l’intera società su quanto sia necessario garantire un sistema di giustizia che funzioni per evitare che episodi come quello di oggi si ripetano. Se non affrontiamo con serietà i problemi legati alla criminalità e all’inefficienza della giustizia, rischiamo di veder crescere un senso di impunità tra i criminali e di disperazione tra le persone perbene. E in un mondo dove tutto sembra essere messo sul filo dell’incertezza, anche i delinquenti, come tutti, devono considerare che a ogni azione corrisponde una reazione, e che il loro rischio d’impresa potrebbe essere, tragicamente, la propria vita.

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